Il sistema idrografico nella storia

 

UN PROGETTO DI RACCORDI TRA CORSI D'ACQUA: FIUME NUOVO, VIGENZONE, CANALE BATTAGLIA

Camillo Corrain

I titolo dato al tema intenderebbe entrare subito nella problematica
presente nello studio idrografico medioevale di tutta la fascia di terre
che si stendono a lambire le propaggini meridionali dei Colli Euganei

L'intento di questa nota si limita ad aprire un discorso che non è mai stato iniziato e stuzzicare gli studiosi, storici e geografi, su alcuni punti nodali che devono essere affrontati per una corretta ricostruzione della paleoidrografia almeno medioevale, se per ora sembrerebbe aleatorio azzardarsi ad affrontare quella più antica, sempre su detta fascia, la qual cosa consentirebbe una più puntuale lettura dei dati di vario genere (archeologici, geomorfologici, archivistici, ecc., già acquisiti o in via di acquisizione).
Tra gli studiosi del passato, il Gennari dedicò particolare attenzione alla raccolta di documentazione d'archivio riguardante gli aspetti dell'idrografia antica del Padovano.
In modo particolare sviluppò una ricerca sull'identificazione del pliniano Togi sono, che ritenne individuabile nel medioevale Vigenzone, che si confonde a tratti con il Sirone e con il Retrone .
Nel proporre le problematiche oggetto della presente nota si elencano osservazioni su:
- il corso del Ronego;
- il confine del comune di Montagnana con Noventa Vicentina, e ad est del Borgo Frassine;
- il percorso del Frassine, dal borgo omonimo a S. Croce di Saletto;
- il percorso del Fiumicello (Zime);
- il percorso del Bisatto.
Un'attenta analisi della topografia dei territori di confine tra i comuni di Montagnana, Poiana Maggiore, Noventa Vicentina fa emergere alcuni particolari che offrono motivo sufficiente per proporre qualche ipotesi sulla paleoidrografia di detti luoghi:
- il confine di Montagnana, a Nord, poggia per un breve tratto sul Frassine fino al Borgo omonimo, poi si stacca per portarsi lungo la strada fino all'abitato di Cicogna (la vecchia chiesa funge da cippo di confine tra le province di Vicenza, Verona, Padova) e, da qui, segue un antico tragitto verso Caselle, passando per C. Boldiera;
- da Caselle, il confine tra Noventa Vicentina e Ospedaletto Euganeo si riporta sul Frassine (un tratto alquanto movimentato), fino al Chiavicone;
- il tragitto del Frassine, dal Borgo omonimo a S. Croce, è impostato su tratti rettilinei;
- anche il Ronego, da Pegolotta fino al ponte Nuovo di Noventa Vicentina, appare con un percorso su rettifili;
- da Borgo Frassine proviene un corso d'acqua, ora imbonito, detto Fiumicello (localmente Zime), che circuisce le mura di Montagnana e si porta nel Gorzone, in località Valli Mocenighe di Piacenza d'Adige, con un percorso tortuoso.
Tutte queste osservazioni sono il presupposto delle seguenti ipotesi:
- il corso antico del Ronego deviava per Cicogna, determinando il confine tra il Padovano ed il Vicentino;
- il paleoalveo del Frassine ossia il tratto del Guà, a valle del Borgo, corrisponderebbe al percorso del Fiumicello.
L a ricerca storica bibliografica offre dati alquanto nebulosi e contrastanti, non
imputabili solo alla povertà descrittiva dei documenti originari, ma soprattutto per una loro evidente manipolazione, in senso interpretativo, imposta da ac-cettazioni preconcette di paleoalvei
atesini storici. comprensibile comunque in studiosi che applicavano criteri di ricerca ancorati a 'miti' più o meno letterari.
E' evidente infatti in Isidoro Alessi . la preoccupazione di demolire l'ipotesi del passaggio per Este del pliniano Togisono , tanto da indurlo a considerare inesatto il riferimento topografico del Vigenzone in una località non lontana da Saletto, che compare in una sentenza del 1211. Inoltre non riporta un altro interessante documento, trascritto puntualmente dal Gennari , in cui si fa memoria nel l 164 che infra villa de Adeste, iuxta flumen Vicencionis...propeiam ecclesiam sancti Manni.
Non intendo qui appoggiare la tesi del Gennari sull'individuazione del Togi sono nel Vigenzone, ma prospettare il passaggio di una via d'acqua, indicata diversamente come Sirone e Reirone, percorrente pressappoco l'attuale tracciato di parte del Frassine (forse il paIeoalveo del Roneg) e del Bisatto.
Ritornando al percorso dello Zime, o meglio, secondo l'ipotesi testè espressa, del Frassine, riporto dal Foratti la notizia di un lavoro fatto eseguire dai Padovani nel 1277, il che sembra rafforzare la mia supposizione. Trascrivo dal Foratti , che a sua volta riprese dal Gennari: "...egli è perciò, che l'anno 1277 la comunitade di Padova fece arginare nelle parti di Monta gnana il Fiume Nuovo e venne ordinata la escavazione di un canale largo 40 piedi, che dovea metter capo all'argine del Frassine, facendovi all'uopo una grada di muro coperta di lastre di piombo affinché l'acqua se non quando perla copia delle pioggie fosse di molto cresciuta, avuto però sempre riguardo, che nel fiume vecchio, per cui si va a Montagnana (il Gloria, in Staiub, trascrive Monselice), vi fosse acqua sufficente per macinare e per altre necessità. il suddetto canale cominciava al monastero delle Carceri e tirava sino a Villa Zotta, e da questo fino al Frassine". Dovrebbe sembrare indiscutibile il riferimento al Fiumicello, quale 'fiume vecchio' (attenendosi alla trascrizione del Foratti) che passava anche per Montagnana, ossia il paleoalveo del Guà, un tempo indicato Fiume Nuovo. lì Fiumicello sarebbe stato quindi regimato per uso dei mulini di Montagnana e per altri servizi, in modo da consentire la navigabilità del tratto manufatto che
portava verso Este, raccordandosi, secondo l'ipotesi, con un vecchio tronco del Ronego (da Caselle al Chiavicone), per immettersi, in parte, nel canale del Ponte della Torre, il quale ultimo, assieme a quello della Restara, confluiva nel canale di Vighizzolo, ora canale S. Caterina. Da notare che il canale della Torre attraversava le proprietà dell'abbazia di S. Maria delle Carceri (questa puntualizzazione è fatta per chiarire la descrizione idrografica del documento). Sempre il Foratti Z riporta una disposizione statutaria del podestà di Padova Pace da Bologna, ove si stabiliva che il naviglio che va e viene da Este a Montagnana sia espurgato, escavato e sgomberto dalla villa Zotta fino ai mulini del Frassine e vengano alzati gli argini del naviglio stesso verso Montagnana.

Ricostruzione dell'idrografia del Bacchiglione dal Vicentino alla laguna attraverso l'agglomerato urbano di Padova, precedentemente allo scavo del canale Padova-Monselice. in evidenza gli antichi corsi del canale Biancolino, proseguimento del Rialto, del Bolzano e del Borracchia.


Giustamente, a mio avviso, il Foratti ritiene che gli altri interventi idraulici fatti eseguire da Ubertino da Carrara nel 1343, desunti dalle cronache dei Coriusi, siano opere di allargamento e di rinforzo arginale del già esistente canale. Tale opinione è condivisa dal Ciscato , mentre il Nuvolato 10 riferisce sulle opere idrauliche carraresi senza alcun cenno a lavori precedenti.
Dopo tutto questo discorso sulla storia dell'assetto idrico, rimane ancora forte il dubbio di una maggiore antichità dell'intervento umano sui corsi d'acqua della zona. In un atto notarile del 1165, un testamento di una certa Beatrice, ritrascritto dall'Alessi, si fa cenno al fiumen Novum, probabilmente nei pressi di Este. Altri tratti dello stesso corso d'acqua, a monte di Borgo Frassine, cioè il percorso che viene indicato col termine Guà, sembra essere stato rettificato in più punti già in periodo alto medioevale, come lasciano supporre alcune particolarità geomorfologiche ed i riferimenti toponomastici in documenti degli anni che parlano di una Sculdascia del Fiume Nuovo e di un Fiume Nuovo. Sembra ormai del tutto fantasioso il collegamento che si vuole (o si ritiene) fare da taluni studiosi tra questo idronimo e il ricordo di un antico passaggio dell'Adige per quelle terre. Cosi pure la pieve di £ Pierin in Porto, l'antico San Pietro in Tillida, che doveva sorgere presso l'attuale Bevilacqua, non significa che, avendo un porto, doveva trovarsi, come sostiene A. Castagnetti 12 sulle sponde dell'Adige.

Territorio padovano, 1534. Disegno di Nicolò dal Cortivo, ingegnere del Magistrato ai Beni Inculti.Uno dei primi documenti cortografici raffigurante con sufficiente precisione l'idrografia padovana.


Del Fiumicello, già menzionato, si continuerà ad interessarsi nei diversi statuti che si susseguiranno sull'uso delle sue acque, a partire da quello del 15 marzo 1366, riconfermato da un altro del 31 dicembre 1387 di Francesco da Carrara.
Quest'ultimo Signore, poco prima della scomparsa sua e della sua famiglia, cedette in data 30 giugno 1405 i diritti sulle acque del Fiumicello alla comunità di Montagnana.
Numerose sono le ducali veneziane circa le limitazioni e l'uso del corso d'acqua, da quella del 23 agosto 1406, ripetuta il 27 gennaio 1457 e l'il marzo 1458, fino ad arrivare a quella del 21 agosto 1794, riconfermante l'uso per la macerazione della canapa.
lì Pasqualigo , nell'appoggiare l'ipotesi di un corso antico dell'Adige per Megliadino S. Vitale, ne definisce un andamento che sarebbe stato in seguito ricalcato dal Fiumicello e propone, a conferma della sua tesi, un documento diplomatico del 954 che riporta un fossatum antiqum.
L'interesse dello storico locale è tutta-via volto alle antichità del territorio, richiamandosi rapidamente a fatti e luoghi del periodo medieoevale, con ampi excursus di carattere generale.
Il suo libretto è comunque da considerarsi valido per la serietà della ricerca, tra le opere più dignitose del suo tempo.
Un'altra fonte, forse più allettante della ricerca paleotopografica, è quella legata alla cartografia storica, in special modo quella prodotta in allegato a perizie idrauliche e ad altri manufatti di pubblica utilità, oppure quella di carattere catastale, imposta solitamente da consorzi di bonifica o da amministrazioni pubbliche per esigenze fiscali. Verso la metà del '500, infatti, il veneziano Magistrato dei Beni Inculti ha cominciato a commissionare a vari periti carte catastali volte a definire il campatico destinato a sovvenzionare le opere di bonifica. Interessanti sono pure le mappe accompagnanti le memorie processuali .
Questo genere di cartografia risulta più attendibile di quella a carattere storico descrittivo, perché prodotta a scopi tecnici e utilitaristici.
La consultazione ditali carte ha permesso di definire meglio il percorso del Fiumicello, principalmente nel tragitto incerto della parte terminale che si scaricava nella palude di Vighizzolo, segnalata ancora dal Gennari L6 nel 1796: "...tre fiumi principali la bagnano, cioè l'Adige, il Bacchiglione e la Brenta con altri minori fiumicelli, e due laghi, cioè quello di Vighizzolo, che male si crede il Togi sono di Plinio ed il lago di Arquà..."
Il relitto del tragitto della parte valliva dello Zime, che entrava nella palude detta Lago di Vighizzolo parallelamente a un defluente di una piccola palude, ubicabile presso la Macchina Nuova e nominata Lago di Spialfredo, è ancora segnato nelle tavolette dell'I.G.M. del 1891 e del 1896 da un viottolo. Questo, staccandosi all'inizio dell'attuale rettifilo che accompagna il Fiumicello, ormai imbonito, fino all'incrocio di Valli Mocenighe, si portava girovagando verso il Fratta per disporsi quindi parallelamente a quel tratto del canale occupato, un tempo, dall'anzidetto defluente, cioè il Canal de Spialfredo.
Si è potuto individuare tale tracciato confrontando le tavolette suddette con una mappa del 22 agosto 1666, tratta da Alvise Scala da un precedente disegno eseguito nel 1567 dal perito Domenico Gallo, tuttora esistente presso l'Archivio di Stato di Padova.
Detta carta rappresenta il Fiumicello in tutto il suo percorso, dal Borgo Frassine alla palude di Vighizzolo. Merita soprattutto annotare alcune particolarità che qui riporto: il tratto rettilineo che ora va all'incrocio di Valli Mocenighe è indicato come Fiumesello per il quale score le acque al presente, mentre il ramo antico, eliminato da detta rettifica, è descritto come Fiumesello vecchio dei molini di Montagnana.
La datazione dei lavori di escavo del canale di Battaglia, posta tra il 1189 e il 1203, bene si accorda quindi con i tempi d'intervento intesi a realizzare raccordi e rettifiche successivi, sempre ad opera dei Padovani, negli anzidetti luoghi a monte, nel chiaro intento di completare un'idrovia di primaria importanza per Padova.
Veniva in tal modo a concretizzarsi un percorso ininterrotto che dal Borgo Frassine portava ad Este (Fiume Nuovo), immettendosi parzialmente nel Bisatto per arrivare quindi, a Monselice, al raccordo rettifilo del canale di Battaglia.
Questo circuito anulare si allacciava inoltre, attraverso i diversivi del Fiumicello, del canale di Vighizzolo (ora S. Caterina e del Bagnarolo (antico tratto del Vigenzone), con quasi tutto il territorio della Bassa Padovana e con la grande idrovia dell'Adige, per mezzo del Buel del Lovo e della Rotta Sabbadina.
Del tragitto antico del Vigenzone, a valle di Pemumia. interrotto dal canale di Sotto, proveniente dal sostegno (bampatura) sul canale di Battaglia e già esistente nel 1210, rimangono solo tracce in strade arginali che collegano Carrara S. Stefano, Cagnola, Gorgo, Bovolenta, Pontelongo, Correzzola e Civè.

 

UOMINI E BARCHE, NAVIGAZIONE
E TRASPORTO

Claudio Grandis

Conosciamo solo parzialmente le vere ragioni di ordine politico, militare ed economico che sul finire del XII secolo spinsero gli uomini del comune di Padova a realizzare lo scavo del canale Padova-Monselice. La necessità di un collegamento a i due centri nasceva infatti dalla mancanza di agevoli vie di transito capaci di soddisfare in qualsiasi stagione il trasporto delle merci tra il centro nord della provincia e il vasto bacino della Bassa, in parte fisicamente separato dal rilievo Euganeo. L'abbandono delle campagne, lo spopolamento dei centri rurali, il forte calo demografico che segnarono i secoli seguenti la caduta dell'Impero Romano (456), favorirono in maniera determinante il degrado, il deterioramento e la parziale scomparsa dell'antica maglia stradale stesa sulla pianura Padovana. Laddove le acque dei fiumi e dei canali scorrevano più fitte e numerose, stagni e paludi alternandosi a selve e macchie boschive si sostituirono rapidamente ai terreni coltivati e all'ordinata geometria dei campi.
La ripresa economica e sociale lentamente avviata tra il IX e il X secolo,
favorita da una mutata condizione politica, da un riscatto demografico via via sempre più marcato, dalla riorganizzazione e dalla rinascita dei centri rurali, trovò nel recupero delle antiche infrastrutture viarie e nello sviluppo dei commerci un naturale e irreversibile sbocco.
Per il territorio Padovano la complessa rete idrografica, pur costituendo un ostacolo di rilievo all'opera di bonifica intrapresa, divenne un elemento chiave nella ritessitura dei collegamenti tra i rinati borghi rurali. Questa eccezionale ricchezza di percorsi non consentiva però un rapido interscambio tra le due tradizionali aree che si svilupparono a nord e a sud della città. Solo la ricomposizione politico-territoriale, avviata dal nascente istituto comunale, evidenziò concretamente la necessità di superare la naturale e fisica separazione . La realizzazione di un collegamento fluviale, oltre ad essere auspicato nell'ambiente commerciale, diventava per il ceto emergente una tappa importante nel processo di crescita politica ed amministrativa. L'apertura del canale creava nuovi sbocchi ad un'attività manifatturiera in rapida espansione, garantendo nel contempo l'interscambio fra i maggiori centri urbani di prodotti agricoli e materiali lapidei; accorciava il collegamento con Chioggia e Venezia, da secoli insostituibili fornitori di sale , e lo sostituiva al tortuoso e non sempre sicuro percorso che lungo il Bagnarolo, il Vigenzone e il canale Pontelongo giungeva a Brondolo per poi risalire e raggiungere le isole della Laguna; consentiva infine un miglioramento delle condizioni di trasporto e della portata dei natanti che con stazza maggiore potevano cos'i imbarcare merci voluminose e pesanti .
La riconquista del predominio delle acque per i Padovani fu lenta e irta di ostacoli oltre che di guerre e battaglie. Nei secoli dell'alto medioevo a solcare i fiumi dell'entroterra non erano i naviganti della nostra provincia ma gli abitanti delle isole realtine, discendenti delle popolazioni che tra il V e il VI secolo, di fronte all'incalzare delle orde barbariche, avevano abbandonato le città venete. Dall'emporio di Torcello i marinai della Laguna risalendo i fiumi dell'Italia settentrionale riversavano sui mercati padani le merci che naviganti greci e siriaci avevano portato dall'Oriente, oppure scambiavano pesce e sale con il grano che non cresceva sulle terre salmastre della Laguna . A bordo delle "naves militum", protetti da privilegi strappati dai dogi ai discendenti di Carlo Magno, agli Ottoni sassoni e successivamente agli altri imperatori tedeschi, la flotta veneziana conservo per tuffo l'alto medioevo l'incontrastato predominio delle acque interne. lì pagamento di modesti pedaggi, la protezione in caso di rapina od assalto, la garanzia di recuperare la merce in caso di naufragio, sono solo alcune tra le più note agevolazioni concesse dai sovrani, titolari del Sacro Romano Impero, al popolo "delle acque" .
Del resto i fiumi navigabili per tutto l'alto medioevo compaiono nell'elenco dei beni demaniali di esclusiva proprietà dell'imperatore il quale, fatti salvi i diritti delle navi locali, a discrezione concedeva facoltà di transito alle nuove barche, autorizzava l'esercizio della navigazione in proprio e concludeva accordi per il passaggio del naviglio straniero . Una sovranità incontrastata, incondizionata, che ci permette di comprendere la lunga serie di concessioni in materia d'acque e fiumi a favore dei vescovi delle città dell'entroterra veneto. Tale è ad esempio la riconferma del privilegio di riscossione della terza parte del ripatico e del teloneo della città di Padova (dazi provenienti dallo scarico delle merci lungo le rive del fiume e dallo smistamento delle stesse in città) avvenuta il 20 aprile 918 per mano dell'imperatore Berengario a favore dei canonici della cattedrale patavina. Un riconoscimento che doveva essere fondato su privilegi ben più antichi se a richiederlo sono quattro vescovi suppli-canti, spinti verosimilmente più dalla necessità di vedere riconfermati diritti e consuetudini praticati e goduti da tempo, che dalla volontà di ampliare il proprio raggio d'azione e di potere sulla realtà economica locale. Nel medesimo disegno politico rientrano poi anche le riconferme dei successori di Berengario: Ottone I nel 952 e Corrado Il nel 1027 con meccanica ripetizione ribadiscono l'antico privilegio sulle acque a favore della chiesa padovana .La presenza di barcaioli e battellieri padovani è documentata a partire dall'XI secolo, allorquando il mutato interesse commerciale fa cambiare rotta al naviglio veneziano, dirottandolo dalle acque dolci della terraferma a quelle salate dell'Adriatico . Gli spazi operativi lasciati vuoti dalle imbarcazioni lagunari diventano motivo di aspro contrasto tra le nascenti corporazioni padovane e vicentine. La contesa oltre che sulle acque si disputa a suon di concessioni e privilegi imperiali. A goderne per primi sono i battellieri berici: nel 1086 riescono a strappare, grazie alla mediazione del proprio vescovo, un privilegio ad Enrico IV, che consente loro il libero navigium nelle acque padovane ogni qualvolta devono raggiungere Venezia .
Ma la vertenza tra le due città che si specchiano nel Bacchiglione continua per gli anni e per il secolo seguente, alternata da rappacificazioni e accordi spesso disattesi ed obliati. Anche la presenza veneziana, sebbene ridotta nel numero, resta tuttavia vigile ed attenta a difendere gli spazi commerciali più redditizi e gli scali tradizionali posti a capolinea della distribuzione del sale, fino al XIII secolo monopolio esclusivo dei naviganti lagunari .
Priva di uno sbocco diretto nel mare e chiusa nella morsa delle città contermini, nel 1107 Padova, coalizzata con Treviso e Ravenna, si scontra duramente con Venezia. La sanguinosa battaglia che conclude la vertenza è favorevole alla città lagunare. 35 anni più tardi le due città venete si affrontano nuovamente. I due anni di inimicizia e di scontri che seguono si chiudono con la determinazione dei dazi e dei pedaggi da pagare per il trasporto e per le merci. La contrastata e lunga lista di liti e paci registra nel 1147 un nuovo accordo tra Padova e Vicenza. Presso il passo di Fontaniva, sul Brenta, i due contendenti concordano norme e disposizioni a garanzia della libertà di commercio e di libero transito .
I decenni che precedono Io scavo del canale Padova-Monselice sono dunque segnati dalle profonde divergenze tra i naviganti delle città venete, poste sulle rive ed alla foce di Bacchiglione e Brenta. L'articolato meccanismo commerciale che proprio in questo secolo decolla definitivamente trova nelle vie fluviali il vero asse portante. Pur ancorata alle produzioni agricole e silvo-pastorali l'economia locale prende coscienza e s'accorge che solo attraverso lo sviluppo degli scambi, il miglioramento dei trasporti, il potenziamento delle vie navigabili, è possibile espandersi. Lo sforzo umano e materiale, alla base dell'imponente opera di scavo e di risistemazione idraulica della piana che si stende tra Padova e Monselice, si colloca dunque tra le manifestazioni più caparbie della mutata coscienza comunale.

Battaglia 1796. l'abitato ritratto i una interessante incisione che evidenzia, oltre ai fabbricati della Riviera, le zattere in tronchi a ridosso della banchina di destra e la "palada", catena posta di traverso al canale.

 

La navigazione interna: un percorso a ostacoli.

La diffusione del trasporto fluviale in età medievale fu legata a diversi fattori di ordine economico e geografico. La rapida evoluzione politica registrata in molte città della nostra regione, ed in particolare a Padova, segnata dalle vicende del comune, dalla tirannide Ezzeliniana (1237-1256) e dalla signoria Carrarese (1318-1405), è di certo il sintomo più evidente delle mutate condizioni economiche.
Il collegamento delle città venete avveniva attraverso il passaggio nei bassi fondali della Laguna. Da Venezia infatti era possibile raggiungere il Polesine risalendo l'Adige e da qui proseguendo approdare agli scavi di Legnago, Verona e Pescantina . Le acque del Po consentivano di giungere fino a Pavia, già capitale nei secoli VII e VIII del regno Longobardo, oppure di approdare a Ferrara e Mantova. A Padova si arrivava risalendo il Bacchiglione o la Brenta. Dalla città del Santo proseguendo con incertezza era possibile inoltrarsi fino a Vicenza seguendo due strade diverse: il ramo principale del Bacchiglione per Brusegana, Tencarola, Creola, Cervarese, Montegalda e Longare, oppure imboccando a Bassanello il canale Battaglia e, raggiunta Este, proseguendo lungo il Bisatto. A Treviso le imbarcazioni vi arrivavano risalendo il Sile, fiume dalle splendide e limpide acque, vera delizia per i naviganti . Così pure navigando Piave, Livenza e Tagliamento si potevano raggiungere molte località dell'entroterra veneto, oggi comprese nelle province di Treviso e Venezia.
Come visto in precedenza non sempre il transito per le diverse località era agevole e possibile. Ogni passaggio di confine, fosse esso politico o anche solo amministrativo, comportava il pagamento di un pedaggio, di una tassa, andando così ad incidere spesso in maniera pesante sui costi del servizio e sui tempi di consegna. Il fenomeno lamentato già nel corso del basso medioevo non scomparve con l'unificazione territoriale avviata da Venezia all'alba del XV secolo, anzi alla vigilia dell'occupazione Napoleonica la situazione non era per nulla cambiata, tanto da essere considerata da molti studiosi vera causa dell'immobilismo e dell'arretratezza economica dello stato Veneto 15
Se nei secoli del basso medioevo lo scambio delle merci avveniva prevalentemente tra città e contado, dopo la conquista veneziana le direttrici della navigazione si orientarono sempre più verso la nuova capitale dello Stato. Le vicende dell'emporio di Rialto sono per noi sintomatiche. Molta parte dei prodotti di pregio dopo aver soddisfatto la domanda interna finiva sulle banchine del Canal Grande, dove uno stuolo di mercanti era pronto a contrattare l'acquisto e la rivendita sotto gli occhi vigili dei daziari, incaricati della riscossione delle numerose imposte fissate dalle
magistrature cittadine. Anche le soste divennero oggetto di tassazione. L'approdo prolungato costituiva infatti un intralcio alla navigazione lungo il canale ed allo scarico delle altre imbarcazioni.
La rigida regolamentazione delle dimensioni dei natanti, degli spazi riserva-ti, dei tempi per lo sbarco, della specificità delle merci, fu per secoli oggetto di discussione, di controllo e di contrasti. I provvedimenti in caso di mancata osservanza stabilivano multe per i contravventori, pene corporali e la distruzione col fuoco delle imbarcazioni". Nel 1536, ad esempio, venne ribadito il divieto di attraccare "di traverso" alle banchine burci, peote, burchielle e zattere, fissando in sei giorni il tempo massimo per la sosta. La situazione del re-sto era tale che ad un certo momento all'interno dell'emporio realtino i burci divennero parte integrante del mercato, dato che costituivano al tempo stesso spazi di vendita in aggiunta a quelli edificati sulle rive . Questa presenza finì per trasformarsi in un diritto di fatto tanto che i barcaroli della fraglia di S. Giovanni delle Navi di Padova ottennero nel 1501 l'autorizzazione a noleggiare carichi con un proprio natante nella "Pesche ria Vecchia" e successivamente, nel 1546, la concessione per tenere due imbarcazioni sopra il canal Grande a S. Croce "de là della corte de cha Badoer verso S. Chiara" . Lo stesso privilegio venne concesso ai barcaroli d'Este e del Frassine (Cologna Veneta), mentre a quelli di Monselice tale facoltà si ridusse ad un solo natante . Nel viaggio di ritorno queste imbarcazioni trasportavano spesso persone e soprattutto i prodotti tipici dell'area lagunare, assieme ai "vuoti" che in precedenza erano serviti per l'imbarco del vino o dell'olio.
Gli ostacoli alla navigazione non si limitavano ai soli passaggi di confine. Gli itinerari classici ed obbligati contemplavano situazioni e realtà complesse dovute agli sbarramenti naturali ed alle antiche concessioni daziarie, spesso affidate all'aristocrazia della dominante. L'illustrazione di alcuni di essi può servire a meglio comprendere tale realtà, limitatamente al canale Padova-Monselice. Pur presentando un alveo dalla sezione regolare ed un andamento rettilineo, il canale della riviera Euganea, come veniva a volte designato, in molti giorni dell'anno non era navigabile. Cause diverse ne erano all'origine: andavano dall'innalzamento del fondale, alla scarsità dell'acqua, alle piene soventi dei mesi primaverili ed autunnali che bloccavano il passaggio degli scafi sotto i ponti. A queste si aggiungevano le numerose derivazioni d'acqua per utilizzazione privata. destinate ad azionare i mulini di Mezzavia, Battaglia, Rivella e Bagnarolo e i folli della cartiera di Battaglia; o a rifornire d'acqua i canali Biancolino e Bagnarolo. Le opposte situazioni, eccesso e scarsità d'acqua, erano all'origine delle numerose lamentele, delle continue suppliche, petizioni, istanze e richieste d'intervento che per secoli furono rivolte alle autorità cittadine ed ai governanti veneziani. lì precario equilibrio, dovuto alla duplice necessità di un intenso sfruttamento energetico e di un altrettanto bisogno di libertà per la navigazione, fu più volte spezzato dagli eventi naturali e dalla continua ed incessante opera dell'uomo. La difficoltà è ben evidenziata nelle numerose relazioni dei pubblici periti del XVII e XVIII secolo. lì riferimento costante alle disposizioni emanate nel XVI secolo, riguardanti la regolamentazione dei tre manufatti idraulici detti "ristoratori" - Arco di Mezzo, Rivella e Monselice - fissate con provvedimento del Magistrato ai Beni Inculti nel 1557 e precedenti di un anno quelle per il Canale della Sega (Battaglia), sottolineano l'incapacità nel trovare un'adeguata soluzione in grado di soddisfare mugnai e barcaioli, senza lasciare spazio a rancori di sorta.
Nelle ricordate relazioni non mancano comunque i riferimenti alle numerose "esacavatori" del canale Padova-Monselice. Del resto la bonifica iniziata proprio nel 1557 della vasta area pedecollinare racchiusa tra l'arco montuoso e gli argini della "riviera", che interessò oltre 10.000 campi vallivi, fu possibile grazie anche all'allargamento ed all'approfondimento dell'alveo del canale di Battaglia. Di conseguenza per il mantenimento del delicato equilibrio idraulico venne imposta la regolare dragatura venticinquennale che fino alla fine del XVII secolo fu puntualmente eseguita. L'intervento venne meno nel corso del Settecento e non pochi furono i podestà e i periti, tra i quali il Poleni , che lamentarono il mancato rispetto della scadenza, origine e causa dei principali dissesti idraulici e della limitazione alla navigazione. Per questi interventi il Senato Veneto sai preoccupò di recuperare le somme investite anche attraverso l'imposizione di un pedaggio di sei soldi alle barche ed ai burchi che transitavano nel canale . Gran parte delle entrate riscosse alle palade erano dunque destinate alle casse pubbliche che finanziavano gli interventi idraulici, anche se talora questi non venivano attuati. Nella relazione presentata al Senato il 1° agosto 1702 il preoccupato podestà di Padova, Stefano Querini, spiega che "non poté intraprendersi" la dragatura del canale Padova-Monselice,"perché alterate sin dall'anno 1675 le riserve della lira per barca della tassa insensibile destinata all'escavazione medesima, e trasfigurata dall'essere della sua prima istituzione, fu locata alla corditione de datij, et il danaro, che doveva accumularsi in cassa, a questa sola urgentissima spesa obligata, o si rese inesigibile nel fallimento de pieggi, o fu ripartito a diverse casse de Magistrati, e nella pluralità de giri" . A provvedere alla pulizia del fondale erano stati puntuali sia Stefano Viario, nel 1606 spendendo 1.100 ducati, che Girolamo da Lezze, il quale nella relazione del 1628 si dilurga anche nella descrizione delle tecniche operative adottate per l'occasione. A sottolineare l'impossibilità dell'opera sono invece i due podestà Nicolò Verier e Lodovico Manin, rispettivamente nel 1734 e nel 1742. Quest'ultimo tra l'altro ricorda che la trascurata operazione riduceva sensibilmente "la navigatiore, et il comercio, soggiacendo tutte quelle vicine campagne in ogni escrescenza al pericolo o a rotabilissimi danni dell'innondationi" . Eppure l'attenzione della Dominante verso i problemi idraulici e di regimazione delle acque non vennero meno neppure nel corso del XVIII secolo, come ben ha dimostrato il Cessi attraverso lo studio dei bilanci dello Stato, tant'è che i fondi destinati alle vie fluviali furono di gran lunga ben superiori a quelli riservati alla viabilità stradale . Forse, come annotava amareggiato il Paleocapa nel 1847, la causa era da ricercarsi nelle opinioni contrastanti dei tecnici che disputando tra loro "lasciarono lungamente incerta l'autorità [veneziana]" al punto che questa non diede esecuzione a nessun piano .
Ma torniamo agli sbarramenti daziari del canale Battaglia, meglio conosciuti con l'appellativo di palade (manufatti in legno che servivano per controllare il transito delle imbarcazioni) distribuiti lungo tutto il tratto Padova-Este. Erano costituiti da una fitta palificata (palada) posta trasversalmente alla corrente e interrotta in corrispondenza della maggiore profondità dell'alveo. Lo spazio libero, di larghezza leggermente superiore a quella dei natanti, veniva chiuso con una grossa catena: fissata ad una riva era movimentata dall'altra per mezzo di un argano azionato dai palattiferi . Riscosso il pedaggio o controllate le merci a bordo, l'argano veniva sbloccato fino a svolgere la catena che, adagiandosi sul fondale, liberava il passaggio. Il servizio spesso funzionava solo di giorno e garantiva così l'intransitabilità delle imbarcazioni durante la rotte. Attraverso le palade era poi possibile controllare il passaggio delle zattere di roveri dirette all'arsenale veneziano. Le tariffe pel transito erano solitamente "scolpite su marmo cioè incise su lapidi collocate in prossimità della palada, affinché la riscossione dei pedaggi non fosse motivo di contrasto e discussioni tra barcaroli, traghettatori e pallattieri. La gestione della palada di Bassanello era stata affidata con ducale del 13 novembre 1540 alla famiglia Grimani e riconfermata dalla magistratura veneziana dei Governatori all'Entrade il 14 dicembre 1575 . I pedaggi invece, fissati negli stessi anni, furono rivisati nel 1783. Con la caduta della Serenissima nel 1797 i barcaroli si rifiutarono di pagare il secolare dazio, tanto che nel luglio 1804 la nobil donna Elisabetta Corner Grimani rivendicò rei confronti dei nuovi governanti l'antico diritto, saupplicandone il ripristino. Chiedeva inoltre che fossero perseguiti i debitori insolventi, "suscitati", annota l'istante, dai barcaroli Angelo Calimera, Santo Rossi detto Cocchio, Valerio Scorso e Antonio Bordin, e obbligati a versare "le quote rispettivamente dovute e prescritte dalla tariffa 1539, 20 febbraro" nelle mani del "destinatario attuale, esattore Angelo Cavalletto del Bassanello, e successori". La palada detta del Basasanello in realtà si trovava piantata a ridosso di Porta Saracinesaca adiacente al casello pedonale esistente lungo la riva sinistra del Bacchiglione; nonostante i rivolgimenti politici rimase in funzione fino all'alba del nostro secolo. Di costruzione più semplice era invece la palada di Battaglia, situata in prossimità dell'attuale ponte alla veneziana (detto 'dei Scaini' o 'de S. Zuame'). Come è rilevabile anche in alcune stampe sei-settecentesache che riproducono prospetticamente l'abitato del centro termale, la grossa catena che ostruiva il transito dei natanti era priva delle palizzate laterali e fissata ai murazzi di contenimento dell'alveo. Della palada di Battaglia poco si conosce, di certo si sa solo che i pedaggi, più volte rivisti ed aumentati, servivano per finanziare le opere di manutenzione e di scavo del canale. Per il transito i barcari nel 1558 pagavano 6 soldi, che in seguito furono raddoppiati, poi aumentati a 20 fino a diventare 50 nel 1675. Nel 1674, per pagare le spese della dragatura del canale, le fraglie dei barcaroli di S. Giovanni delle Navi di Padova, dei burchielli di S. Maria in Vanzo, di S. Nicolò d'Este e di Monselice contrassero con Giulio Pettenello un livello (contratto) per mezzo del quale cedevamo a questi la gestione della palada. La speranza di poterlo affrancare rimase delusa: l'assolvimento del debito nel 1799 non era ancora compiuto e gli eredi del Pettenello sai rivolsero insistentemente alle fraglie affinché provvedessero a liquidarlo totalmente.
Altri sbarramenti erano collocati tra Bassanello e Battaglia e tra il centro termale ed Este. Chi transitava lungo il canale, oltre alle difficoltà connesse alla navigazione vera e propria, doveva quindi fare i conti con daziari, pallattieri e gabellieri, "termali operativi" del complesso sistema fiscale veneziano. E gli ostacoli non finivano qui. Il viaggio di un natante caricato di merce incontrava difficoltà di vario genere: pagamento di moli e di "restara" (traino), versamento delle tasse ai gasataldi delle fraglie e ai daziari delle palade, attesa per il transito alle porte, soste in caso di piena e rallentamenti nelle stagioni di magra. Ad essi si aggiungevano le periodiche variazioni di livello. le derivazioni ad uso privato che riducevano la portata del canale, l'innalzamento dei fondali provocato dal deposito di materiali fluitati, l'erosione dei "pennelli" piantati lungo le rive per mantenere e conservare costante la sezione dell'alveo ed evitarne l'imbonimento. Le martellanti suppliche di barcari e pubblici periti registrate per l'età veneziana non si placarono neppure negli ultimi due secoli. Del resto alla incontrollabile natura delle acque spesso sai aggiungeva l'inerzia delle magistrature e degli uffici preposti, bloccati da una burocrazia sempre più attenta alle carte che ai reali problemi idraulici ed economici .

 

IL NAVIGLIO DEL CANALE DELLA BATTAGLIA

Riccardo Pergolis

Sul Canale della Battaglia, fin dalla sua costruzione, sono verosimilmente transitati natanti di tipo già sperimentato e costruito per la navigazione su altri fiumi e canali del territorio. Non si ha, dunque, uno o più tipi particolari di imbarcazioni caratteristiche di questo canale, cosa che si verifica invece per i bacini fluviali di maggior importanza, particolarmente nei casi di evoluzione culturale e tecnologica in certa misura isolata. I vari tipi di barche costruite e usate nella pianura circostante la laguna veneziana sono sempre stati legati da una tradizione, che si può definire comune proprio per le caratteristiche geofisiche della zona, ancora prima che la città di Venezia diventasse un importante centro urbano: anzi, si può dire che a formare la tradizione veneziana nel naviglio lagunare abbiano concorso proprio le varie tradizioni locali preesistenti, che a Venezia si sono incontrate e amalgamate beneficiando di reciproci 'travasi' tecnologici.
Nella tradizione veneta del trasporto su acqua si possono distinguere tre momenti particolari: il trasporto per fiumi e canali; il trasporto in laguna; il trasporto marittimo. Nessuno dei tre momenti è tuttavia disgiunto da un intimo rapporto con almeno uno dei due rimanenti: il naviglio fluviale e di canale sarà usato anche in laguna; quello di laguna penetrerà sia nell'entroterra per fiumi e canali, sia nella zona marittima costiera; il naviglio marittimo, particolarmente di piccolo cabotaggio, navigherà in laguna e, fin dove possibile, anche lungo le vie d'acqua interne. Esiste, pertanto, un passaggio graduale nelle caratteristiche ambientali che in un certo modo e misura unificherà, nel tempo, l'evoluzione del naviglio interno, pur con le dovute differenze particolari.
La specificità del naviglio interno rispetto a quello marittimo è chiaramente dovuta alla morfologia generale dell'ambiente fluviale: l'acqua dolce si presenta sempre sotto forma di corso d'acqua di larghezza e profondità limitate e di direzione costante; la superficie dell'acqua non è perturbata dal moto ondoso; lo scafo si trova costantemente a poca distanza dalla riva e dal fondo del corso d'acqua; la propulsione del natante avviene mediante spinta ad alto rendimento meccanico (traino, remi puntati sul fondo). Pertanto lo scafo della barca fluviale avrà una forma caratterizzata dal fondo piatto per superare i bassi fondali, dall'assenza di un'insellatura pronunciata e da un andamento longitudinale del volume di carena relativamente semplice da un punto di vista idrodinamico. lì profilo della prua, e in certi casi anche della poppa, sarà determinato dalla necessità di approdare appoggiando lo scafo alla riva del corso d'acqua senza provocare danni, e di evoluire anche in specchi d'acqua non estesi. La robustezza longitudinale dello scafo potrà essere limitata (per l'assenza del moto ondoso), dando così la possibilità di usufruire di spazi di carico molto ampi, non condizionati dalla presenza di un'ingombrante struttura di coperta.
Ulteriori requisiti del naviglio fluviale possono essere dettati da condizioni locali particolari: larghezza dei corsi d'acqua e possibilità dei natanti, provenienti dai due opposti sensi di marcia, di incrociarsi ; esistenza di ponti (distanza netta tra ponte e pelo dell'acqua), o di conche; necessità di avanzare con la poppa in assenza di spazio per manovrare.
L'iconografia storica relativa al naviglio interno è molto limitata: generalmente esso non è neanche l'oggetto principale della scarsa rappresentazione grafica in cui è raffigurato solo marginalmente. Inoltre tali raffigurazioni sono raramente attendibili, in particolare per quanto riguarda le dimensioni dei natanti.
Non si può neppure far ricorso a disegni tecnici in scala ridotta, perlomeno fino alla metà del secolo scorso, e ciò non tanto per il fatto che essi potrebbero non esser stati conservati o semplicemente andati perduti nel corso del tempo, quanto per la pratica stessa della costruzione, che non richiedeva rappresentazioni grafiche, di solito considerate essenziali nell'architettura navale più recente. In effetti il costruttore, un maestro d'ascia, era anche il progettista degli scafi che realizzava basandosi su di un sistema di rapporti geometrici consacrati dalla tradizione ed eventualmente modificati di volta in volta secondo l'esperienza: prassi questa in uso per il naviglio marittimo delle massime dimensioni fino al Seicento e, per quello minore, fino al tramonto della costruzione navale in legno .
il naviglio che transitava per il Canale della Battaglia può essere suddiviso approssimativamente in quattro gruppi:


a) imbarcazioni usate per traghettare;

b) piccole imbarcazioni per spostamenti rapidi di persone o cose;


c) barche per il trasporto di più passeggeri o merci e dotate spesso di copertura;


d) barche da trasporto delle massime dimensioni consentite dal Canale e dai corsi d'acqua collegati.

Tipo a: è questa l'imbarcazione più semplice, derivata dalla piroga monossile, almeno per quanto riguarda l'uso. Le dimensioni ridotte (da 2,5 m fino a 5,0 m) ne consentono anche, in caso di necessità, il trasporto su terra fino al corso d'acqua dove ne è richiesto il servizio. Dalla sua particolare destinazione deriva il nome con cui era anche chiamata: salta fossi. Generalmente aveva prua e poppa simmetriche, a punta, fondo piatto, fianchi svasati, poche ossature ed eventualmente un tratto. Alle volte la poppa era a specchio, o anche entrambe le estremità, in modo da dare allo scafo la massima portata col minimo ingombro.


Tipo b: di dimensioni maggiori e di forme più affinate, questa barca aveva la funzione di permettere spostamenti rapidi di persone o cose, e con piccole variazioni era diffusa in tutta l'area veneta, dalla laguna, ai fiumi, ai canali. Nella descrizione del Sanfermo queste barche sono raggruppate tra le battelle in assortimento, di lunghezza inferiore ai 13 metri. Dall'iconografia esistente risulta che su corsi d'acqua quali la Riviera della Brenta era in uso, fino al secolo scorso, un'imbarcazione di circa 6-7 metri di lunghezza, a doppia punta, simile a tante delle imbarcazioni a remi raffigurate nei quadri dei vedutisti. Sembra, tuttavia, che tale tipo non sia stato più in uso sul Canale della Battaglia da almeno un secolo: nelle Valli di Comacchio e sul Po esiste ancora, tuttavia, il tipico 'battello' di caratteristiche molto simili.
Già in un quadro attribuito al Carpaccio è raffigurata, in posizioni diverse, una barca di forme e dimensioni simili a questo tipo di 'battello', molto probabilmente una fisolera che nella città lagunare si evolvette verosimilmente fino a diventare la barchetta a due piazze. Nei canali del padovano tale imbarcazione agile e leggera fu sostituita dal sandolo lagunare.
In questo gruppo andrebbe anche annoverato il batelo (o anche patana) al servizio dei burci, pur se le sue forme e il suo peso non lo rendevano certamente adatto a spostamenti rapidi, spostamenti che erano invece effettuati, da e per Venezia, su gondola come è attestato da diverse incisioni: era questo il mezzo più rapido, per acqua, per giungere alle varie ville lungo il Canale della Battaglia.

Tipo c: appartengono a questo gruppo i 'battelloni più piccioli scoperti (Sanfermo) di 13 m e più dì lunghezza, adibiti al trasporto di frutta, legna, ed altri oggetti di poco peso. Barche di queste dimensioni erano usate, almeno fino al secolo scorso, per il cosiddetto libo, cioè per alleggerire, trasbordandolo, il carico di imbarcazioni maggiori per le tratte in cui, nei periodi di magra, il fondale ridotto non permetteva la navigazione.
I famosi 'burchielli' con cui i viaggiatori, passeggieri, comici od altro si spostavano dalla terraferma a Venezia e da questa città a Padova e provincia, fanno parte di questo gruppo. Secondo il
Sanfermo, e l'iconografia lo conferma, i 'burchielli' erano di due tipi: 'da quattro balconi', di circa 16,5 m, e 'da tre balconi', di circa 15 metri. Già all'inizio dell'Ottocento però, il loro numero, già notevole, era scemato di molto: 'il miglioramento delle strade fu la causa della loro diminuzione'. In tali circostanze i 'burchielli', per sopravvivere, si adattarono 'al trasporto di generi, grani, legne, etc.'.

Tipo d: sono queste le barche di maggiori dimensioni che transitavano per il Canale della Battaglia. Secondo quanto asserisce il Sanfermo, i 'burchi grandi scoperti', i 'battelloni da uno schermo grandi scoperti' e le 'burchielle mezzane scoperte' facevano la 'grande navigazione'. Le lunghezze massime erano rispettivamente 24 m circa, 22 m e 19,50 m, con una portata massima di circa 58 tonnellate nei 'burchi grandi' e 'battelloni grandi', e 46 tonnellate nelle 'burchielle mezzane'. La concorrenza del trasporto su strada e quindi su ferrovia portò all'aumento della capacità delle maggiori barche da carico, le cui dimensioni arrivarono anche a 35 m per la lunghezza, con larghezza di 7 m, altezza di 2 m e portata fino a 250 tonnellate. Tradizionalmente il carico era costituito da 'fieno, canna, pietre, scaglia, mercanzie, sale ed in generale qualunque oggetto di gran trasporto .
Altri tipi di barche da carico che transitavano per il Canale della Battaglia erano le gabarre, simili ai burci, ma con prua a punta e asta rettilinea, leggermente slanciata . Questo tipo di scafo risale probabilmente solo all'ultima fase della navigazione interna, quando l'installazione di un motore di propulsione permise il raggiungimento di una velocità d'esercizio maggiore, e di conseguenza richiese una forma della prua più adatta all'impatto idrodinamico.
Ancora nel secolo scorso transitavano le 'barche da Este con tiemo nero circolare' che assicuravano il collegamento settimanale fra Este e Venezia, le 'barche da vin' e forse anche le 'barche da Padova' o padovane, che normal
mente collegavano con regolarità Padova a Venezia. La lunghezza, secondo il Sanfermo, variava da circa 21 metri a 19 metri, con portata massima tra 55,5 e 45 tonnellate. Più grandi delle 'barche da Padova' erano le 'barche da Vicenza' che solo raramente si allontanavano dal loro usuale percorso tra Vicenza e Venezia.
Un'altra conseguenza della concorrenza di strada e ferrovia prima, e della meccanizzazione poi, fu la scomparsa di alcuni tipi di barche: solo burci, gabarre e assai raramente padovane sono ricordate dagli ultimi barcari. Barche come la rascona e il bucintoro del Panaro, che resistettero fino alla fine della navigazione interna, verosimilmente non transitavano per il Canale della Battaglia, impedite dalla grande altezza del liemo e anche dalla insellatura molto pronunciata sia a prua, sia a poppa.

La costruzione.

Si è già visto come la forma dello scafo di una barca fluviale sia in larga misura determinata dalle condizioni ambientali e operative: anche la tradizione e l'influenza tecnologica di altre culture, opportunamente filtrate e assimilate, possono svolgere un ruolo non trascurabile. La tradizione fa si che l'arte dei maestri d'ascia di una zona mantenga le sue caratteristiche peculiari anche quando, in realtà, non ci sono condizioni ambientali diverse da quelle di altre zone. Inoltre, la tradizione è causa di una certa inerzia nell'evoluzione tecnologica: la meccanizzazione, per esempio, non ha influito tanto sulla forma delle barche fluviali, le quali hanno continuato a mantenere fino all'ultimo uno scafo concepito per la propulsione a remi, a spinta, a traino o anche a vela (salvo rarissime eccezioni come la gabarra). È anche da osservare che il materiale usato nella costruzione dello scafo determina in qualche modo la sua forma, almeno in certi dettagli.
Tradizionalmente, il materiale usato per le costruzioni navali, marittime e fluviali, è stato quasi esclusivamente il legno . La facilità di reperimento, trasporto, immagazzinamento e conservazione, accoppiata a una tecnologia di lavorazione relativamente semplice sono state sempre le caratteristiche fondamentali che hanno reso il legno superiore a ogni altro materiale in questa come in altre applicazioni.
Generalmente, per motivi economici e politici, il legname adatto alla costruzione navale era preferibilmente reperito nei territori dello Stato. Vi furono casi di eccezioni notevoli a questa tendenza, e per ovvi motivi, come in Inghilterra e in Olanda, dove la forte espansione della marina e mercantile e militare ri-chiese l'importazione di gran parte del legname necessario dalla Scandinavia e dal Centro-Europa. Nel caso della navigazione interna del Veneto, i territori della Repubblica, sia di terraferma vera e propria, sia i possedimenti d'oltremare (Dalmazia), erano in grado di fornire tutto il legname necessario. Nel primo caso, i tronchi degli alberi tagliati nelle zone di montagna venivano fatti arrivare a destinazione mediante la cosiddetta 'fluitazione': legati assieme in modo da formare delle zattere, i tronchi venivano portati dalla corrente e, guidati dai zatterieri o zatteri, giungevano fino in laguna.
Si può affermare che la struttura delle imbarcazioni che transitavano lungo il Canale della Battaglia rimase immutata per secoli, fino al tramonto definitivo della navigazione interna, dopo la seconda guerra mondiale. Forse si potrebbe anche parlare di millenni, dato che già ai tempi di Roma la tecnologia del legno sarebbe stata capace di produrre burci e batele: una tecnologia caratterizzata dall'assenza della macchina e dal risparmio delle risorse naturali a disposizione.
Due sono i sistemi possibili nella costruzione di un'imbarcazione in legno: una struttura con funzione di ossatura e impalcatura viene rivestita da un involucro impermeabile, ovvero l'involucro impermeabile, costruito senza ossatura, viene, al suo completamento, rinforzato internamente da una struttura collegata appunto all'involucro. Questo secondo sistema ebbe larga diffusione nel Mediterraneo dell'antichità, nei paesi nordici dove è ancora in uso nelle piccole imbarcazioni, nel naviglio di alcuni fiumi francesi (p. es. iìhole, draguer, chalibardor) e ancora in varie zone del Pacifico (p. es. Cina, Indonesia) dove è tuttora attuale Il naviglio interno del Veneto, come quello marittimo del resto, veniva invece costruito secondo il primo sistema: lo scheletro dell'imbarcazione (colonba, paramesale, asta, piane, corbe, sanconi, caene, ecc.) veniva completato per primo, quindi si applicavano le tavole del fasciame esterno e della coperta (majen), che costituiscono l'involucro impermeabile; in ultimo, i rivestimenti interni (fodre), gli accessori d'allestimento e l'attrezzatura.

La propulsione

Lo spostamento di un'imbarcazione in un canale può avvenire in modi diversi:
mediante remi, purché vi sia spazio sufficiente per manovrarli lateralmente allo scafo e a una certa profondità sotto il pelo dell'acqua; mediante spinta, puntando i remi sul fondo del canale (parando); mediante traino dalla sponda; a vela, purché i ponti e la larghezza del canale lo permettano; e infine, a favor di corrente (a seconda), seguendo lo scorrer dell'acqua.
Naturalmente il tipo di propulsione adottato dipende dalle dimensioni dell'imbarcazione e dalle circostanze: l'uso dei remi è molto più facile e conveniente se l'imbarcazione è piccola e leggera, mentre lo sfruttamento del vento mediante la vela è possibile solo nelle andature favorevoli.
In un burcio tipico ci si poteva avvalere di tutti i sistemi descritti: delle forcole sistemate a prua e a poppa servivano per l'appoggio dei remi sui quali si premeva stando in piedi, rivolti in avanti (voga alla veneta); i remi che servivano per la spinta sul fondo erano dotati di un ferro a punte.
L'attrezzatura per la navigazione a vela consisteva in due alberi: il maggiore a prua (a/baro maestro), il minore a poppa (albaro da pope); entrambi erano fissati in modo da poter essere abbassa-ti completamente per il passaggio sotto i ponti. Su ciascun albero veniva issata una vela al terzo, inferita su antenne. Le sartie erano tesate con paranchi che ne permettevano una regolazione immediata. Il piano velico di un burcio, associato a un piano di deriva di scarsa resistenza allo scarroccio, era dunque adatto soprattutto alle andature portanti (si osservi, per esempio, la differenza tra burcio e bragosso: entrambi a fondo piatto e a due alberi, ma con piani velici differenti; inoltre nel bragosso un timone di grandi dimensioni ne rende diverso il piano di deriva.
Quando l'imbarcazione veniva trainata, il cavo di rimorchio o alzaia (cavela) era tenuto sollevato mediante la bria, una manovra che scorreva lungo l'albero maestro: in questo modo si evitava che l'alzaia potesse impigliarsi lungo l'argine. Inoltre, il cavo, partendo da un punto più vicino al centro di gravità della barca, non tendeva a far costantemente avvicinare la prua alla sponda del canale (golena). Generalmente, per il traino ci si avvaleva di cavalli (di raro anche di buoi) addestrati e condotti dai cavalanti. alle volte però, in caso di necessità, erano i membri dell'equipaggio che, indossata una cinghia (sana), dovevano trainare la propria barca.
Nei canali con poco fondale, o nei periodi di magra, la navigazione era possibile immettendo dell'acqua da un canale a livello superiore: questa operazione, detta butà, generava un'onda molto lunga, che scorreva lentamente lungo il canale inferiore. Era così possibile per una barca il superamento delle zone a basso fondale, operazione che richiedeva grande abilità, con l'impiego, se necessario, di caene filate a poppa per rallentare la velocità e regolare la rotta mantenendo la barca parallela alla mezzeria del canale.

Conclusione

La navigazione interna è un sistema di comunicazione e trasporto che si basa su un insieme di mezzi mobili che si spostano lungo una rete idrica in parte naturale e in parte artificiale. Il funzionamento del sistema è assicurato, dunque, non solo dalla presenza dei mezzi - le imbarcazioni esaminate in questo breve studio - ma anche dalla sistemazione e manutenzione dei canali, degli argini, delle chiuse, dei ponti e di quante altre opere necessarie. Il Canale della Battaglia, costruito ben otto secoli fa, è stato un elemento importantissimo di quella rete di vie d'acqua che collegava i vari punti del Veneto. Il declino della navigazione interna ha anche segnato la scomparsa delle barche e di una lunga tradizione non solo tecnologica, ma anche culturale e sociale.

 

L'ARCO DI MEZZO CENTRO DEL SISTEMA IDRAULICO

Ivano Santin

l centro di Battaglia Terme è attraversato da un canale pensile su cui
scorrono le acque del Bacchiglione provenienti dal Bassanello, in direzione da nord verso sud, e da Este-Monselice, in direzione da sud verso nord. Le due correnti si incontrano in corrispondenza del sostegno-regolatore, il cosi detto Arco di Mezzo, sito in fregio all'argine sinistro (muro di mattoni con funzione d'argine) del canale di Battaglia e destro del canale di Monselice per chi volge lo sguardo nella direzione della corrente.
Nonostante l'Arco di Mezzo abbia origini antiche, carente è la documentazione ad esso relativa, anteriore al XVIII secolo, e incerta è la datazione dell'impianto originario.
Giuseppe Gennari, nel 1776, scrive che " ...non sarebbe vero che i Carraresi fossero stati gli autori di quel meraviglioso incontro di fiumi, che piombano giù per l'arco di mezzo, come porta la volgare opinione.
".. .E certo per verità che nell'anno MCCX v'era un sostegno alla Battaglia, .ed in oltre vi avea de' mulini, la prima posta de' quali era situata presso l'arco d'un ponte... ".
Secondo l'autore i Carraresi ampliarono e perfezionarono semplicemente un'opera già costruita e funzionante sin all'epoca della costruzione del canale (1189-1201). L'intervento trasformò il manufatto, in modo da conferirgli un aspetto vagamente simile all'attuale. L'Arco di Mezzo divenne con ciò una gran fabbrica a guisa di ponte a tre luci, presidiate da saracinesche per regolare l'acqua nel canale superiore al fine di rendere possibile la navigazione, non per dare passaggio alle barche.
L'edificio, proprio per le funzioni che svolge e per le gravi sollecitazioni dovute alla pressione dell'acqua, ha richiesto nel corso del tempo numerosi interventi riparatori e di perfezionamento.
In un sopralluogo nel 1730, il perito G.B. Savio ebbe modo di osservare il grave pericolo in cui si trovava il casello "quale serve per l'ufficio di abbassar ed alzar le porte".
Nella sua relazione peritale dichiarò che "è già cadente e non poi più reggersi in piedi a cagione che li pali che lo sostiene, e già consumati dal tempo e perciò volendo riparare al precipizio che potrebbe accadere cadendo il detto casello davanti alle porte che, cadendo questo, l'ottura con precipizio per l'escrescenza dell'acqua"
Furono perciò appaltati i lavori di ricostruzione in base ai quali si sarebbe rifatto l'edificio uguale al vecchio e cioè di 18 piedi 9 x 9 di altezza (vale a dire m. 6,40 x 3,20 x 3,20) . Come si evince, il casello era allora parecchio più piccolo dell'attuale che ricalca le dimensioni di quello ottocentesco.
Un altro intervento si ebbe nel 1785. Il 5 ottobre venne decretato lo scavo (pulizia) del canale da Battaglia a Este e la installazione di "livelli mobili" (paratoie) sull'Arco di Mezzo.
Irrima di questo intervento la manovra di chiusura ed apertura dello scarico era piuttosto difficile, in quanto richiedeva l'aiuto di una dozzina di uomini che, in caso di escrescenze (piene) improvvise di notte, venivano chiamati al suono di campana a martello.
Proprio per rendere più agevole la manovra, Donà Munaretto allora responsabile dei lavori, suggerì di sostituire le catene delle paratoie con leve di ferro maneggiabili da un solo uomo, sistema perfezionato da lui stesso .
L'edificio cosi riattato resse fino al 1822, quando si palesarono danni tali
che, a giudizio degli esperti, davano indizio di una totale rovina.
Ci si affrettò allora a puntellarlo tanto robustamente che si conservò sino al
1830.
La Gazzetta Privilegiata di Venezia del 1832 pubblica, in occasione della ricostruzione dell'Arco di Mezzo, interessanti cenni storici che si riportano quasi integralmente: "...il 14 novembre venne ripristinata la navigazione per Padova e per Este che da diciotto mesi giaceva interrotta in forza della decretata ricostruzione della Cateratia detta Arco di Mezzo alla Battaglia, cateratta, che impropriamente sostegno addimandasi...
Rilevati già dal Gennari che nel 1210 esisteva alla Battaglia, e sulla sponda sinistra un Ponte. .. e nella stessa situazione di questo Ponte fu poscia dai Carraresi eretta una gran fabbrica a guisa di ponte di tre luci, presidiate da saracinesche per regolare l'acqua del canale superiore, o della Battaglia. . . donde ne viene che lorché le Saracinesche sono aperte, l'uscita dell'acqua nel Canale inferiore o di Ponte Lungo produce una imponente caduta d'acqua, per cui a quell 'Edilzio meglio, che altro nome, quello conviene propriamente di Cateratta.
Detto questo per dare a chi noi conosce una chiara idea dell'uffizio cui cotai fabbrica è destinata, e correggere quella che destare potrebbe la impropria denominazione di Sostegno, seguiteremo dunque a dire, che l'origine sua risale all'epoca della padovana repubblica; che col volgere dei secoli a molte vicende soggiacque, per cui e i Carraresi stessi, ed i Veneziani da poi frequentemente adoprare dovettero per conservarla.
Non è poi da meravigliarsi se in quei remoti e burrascosi tempi, né la primiera sua istituzione, né le riparazioni fattevi successivamente abbiano avuto luogo con tutte quelle regole che la perfezionata architettura idraulica apprese nelle età più a noi vicine.
A malgrado però di quelle imperfezioni l'edificio si resse fino all'anno 1822, in cui si palesarono gravissimi disordini. . . fino all'anno 1829 in cui moltiplicati essendosi i danni costrinsero a demolirlo del tutto, e nel successivo 1830 a riedificarlo dalle fondamenta.
La nuova fabbrica è lunga metri 24, larga 13, e nel prospetto superiore alta
12,10.

 

 


Sorge sopra questo prospetto un edificio alto m. 3.70 in cui vi sono i congegni per alzare ed abbassare le nove grandi saracinesche che chiudono le tre luci ad oggetto di mantenere nel canale superiore, detto della Battaglia, l'acqua necessaria alla perenne navigazione anche nelle stagioni più povere d'acqua, ed avere una non mai interrotta comunicazione fra Padova ed Este.
Fra il fondo del canale superiore detto della Battaglia e quello dell'inferiore, che domandasi Canale di sotto della Battaglia, poscia di Ponte Lungo, avvi una differenza di livello di m. 720; e dal pelo dell'acqua superiore a quello del canale inferiore puossi combinare una differenza di livello di m. 7.40, differenza che non riesce mai inferiore di m. 4,16, neppure nelle piene massime. il prospetto dell'edilzio verso il canale della Battaglia, in un corpo di fabbrica saliente presenta tre arcate molto più elevate dei tre vani nelle quali l'edifizio è diviso; sulle quali arcate s'innalza la fabbrica destinata a custodia dei congegni. Dei tre vani, o luci dell 'edifizio, i due laterali servono all'uscita dell'acqua del canale della Battaglia per animare dei mulini di molta importanza; mentre il vano dimezzo è l'unico destinato allo scarico delle acque grosse del Canale, da cui n 'è derivato che l'edificio si nomina Arco di Mezzo.
La luce verso Padova ha la corda di mt. 5.00. Quella di mezzo di mt. 5,20; quella verso Monselice di mt. 5.00 e furono così ricostruite per non alterare a primitiva divisione. La freccia della mezzana è di m. 1.70; il piedistallo 0,60 e così all'incirca sono le freccie ed i piedritti delle altre due.
Sul dorso dei tre vani corre la Regia strada postale di Rovigo e di Mantova, con laterali marciapiedi, ridotta alla normale larghezza.
Il prospetto inferiore dell'edifizio presenta i tre vani nei quali è diviso, e vi fa coronamento il muro in vivo che serve di parapetto alla strada nel quale è collocata l'scrizione che si legge qui sotto, non ha guari ivi collocata:
CATARACTAM. 'ET. . OSTIA. . AD. . AMNIUM. .
OThINQUE . .
DECUSSATIM. . CONFLUENTIUM. . AQUAS. . TEMPERANDAS. .
ALLUVIEMQUE. . DEVERTENDAM. . A. . PATAVINIS. . SAECULO. .
XIII. - INGENTI. . NOVOQUE. . MOLIMENTO. . SUBSTRUCTA. .
A. . CARRARIENSIBUS. . DYNASTIS. ET. . A. . VENETAE. .
REIP. . PATRIBUS. .
INSTAURATA. .
POSMODUM. . VETUSTATE. .
DILABENTIA. . IIAANCISCUS. . CAESAR. . AUGUSTUS. . DOMINUS. .
PROVIDENTISSIMUS. . REFECIT. .
ANNO. MDCCCXXX..
RAINERIO . ARCIDUCE. . AUSTRIAE.
. LANGOBARDIAE. . ET~
VENETIARUM. . PROREGE. . ORUS. . ADIUVANTE. .
IL provvidentissimo signore Francesco Cesare Augusto, con l'aiuto dell'arciduca d'Austria Raniero, vicerè di Lombardia e delle Venezie, fece ricostruire nell'anno 1830 la cateratta e le porte, costruite originariamente dai Padovani con uno sforzo imponente nel XIII secolo e rinnovate dai Carrresi e dalla Repubblica Veneta in seguito agli insulti del tempo, per scongiurare il pericolo di allagamenti e regolare le acque dei canali confluenti .
Il prospetto inferiore poi è fiancheggiato dai mulini; mentre alla stessa parte inferiore, ma che guarda la strada, è il prospetto della fabbrica che s 'inalza sopra l'edifizio entro cui, come sopra si disse, stanno i congegni per la manovra delle seracinesche; congegni che con una mirabile semplicità producono una forza più che bastante per inalzare quelle pesanti seracinesche e vincere la grande resistenza che presentano in causa della colonna premente dell'acqua. Su questo prospetto scorgesi lo stemma imperiale austriaco.
Tutto l'edifizio di buon disegno, offre l 'aspetto della più grande robustezza e mostra di essere capace di sfidare le ingiurie del tempo.
I prospetti sono intieramente rivestiti, o foderati di pietra dura da taglio lavorata con isquisita accuratezza.
Ne fu architetto il signor Giannantonio Boni, aggiunto presso la I.R. Direzione delle Pubbliche Costruzioni di Venezia; e lo eseguì per appalto sotto la direzione dello stesso signor Boni, il sig. Antonio Busetto detto Petich di Venezia. L 'Opera costò al pubblico erario oltre cento quattromila lire austriache".
Presso l'Archivio di Stato di Venezia - Settore delle Pubbliche costruzioni - è stato rinvenuto il Capitolato d'Appalto, relativo ai lavori per la ricostruzione del sostegno, nonché il certificato della visita di collaudo delle opere .
Tale operazione venne attuata in due volte.
Nella prima, del 19 agosto 1830, si procedette all'esame della parte di lavoro che avrebbe potuto essere occultata dall'acqua in seguito alla eliminazione dei cavedoni, nella seconda, del 9 e 10 Dicembre 1830, furono esaminati tutti i lavori realizzati fuor d'acqua a compimento della Fabbrica (i cavedoni risultarono completamente tolti il 14 Novembre del 1830).
Nell'Archivio non sono stati reperiti gli elaborati grafici di progetto facenti parte integrante del Capitolato anzidetto. È stata invece rinvenuta nell'Archivio Storico del Genio Civile di Padova copia del disegno dell'Arco di Mezzo (piante, sezioni, prospetti), risalente alla prima decade del 1900.
L'utilizzo secolare e continuativo che fu fatto del salto determinato dal sostegno dell'Arco di Mezzo per la produzione di energia proseguì fino agli anni Quaranta per poi arrestarsi fino ai giorni nostri.

 


La presenza del manufatto e la regolazione del relativo salto d'acqua, determinava giocoforza problemi di interrimento del canale inferiore. Infatti dal sostegno Arco di Mezzo, sito in sinistra del canale Battaglia, si diparte il canale Sottobattaglia che giunge fino alla località detta le Acque Nere, dove confluisce il canale Bagnarolo. Esso costituì il tratto superiore della via di comunicazione acquea più diretta Ira il basso Padovano ed il mare. La sua importanza come mezzo di comunicazione navigabile, già notevole anche nel passato, andò crescendo sensibilmente dopo che si estese la difesa delle sponde dei fiumi con il sasso trachitico dei Colli Euganei, proveniente dalle cave dei dintorni di Battaglia. lì materiale veniva ordinatamente tradotto al sito di impiego attraverso i corsi inferiori del Brenta, Bacchiglione, Adige e Po col mezzo di barche caricate nel tratto superiore del canale Sottobattaglia in riva al quale esistevano degli spazi golenali adibibili a deposito.
Il tratto superiore di detto canale, per una lunghezza di un chilometro circa, si trovava sovente in condizioni tali di fondo e di pelo d'acqua da rendere assai difficile, e talora assolutamente impossibile, la navigazione anche alle barche non eccedenti le ordinarie misure di carico e di pescazione, e ciò per necessaria conseguenza della origine del canale stesso che si diparte dal battente determinato dal sostegno.
Le acque scorrenti nel canale suddetto sono quelle ricevute dai canali di Battaglia e Monselice, che nei tempi ordinari venivano scaricate da quattro opifici alimentati dalle luci laterali del sostegno medesimo ed in tempi di piena scaricate anche dalla luce centrale dell'Arco di Mezzo di cui era proprietaria la Regia Autorità.


Durante i giorni dedicati ai butà di ogni settimana, quando gli opifici rimanevano inattivi, si favoriva la navigazione nei canali superiori al canale Sottobattaglia, per cui questo rimaneva senz'acqua, o per meglio dire, vi restava soltanto un po' d'acqua rigurgitata dal canale Cagnola a cui si univa in quantità trascurabile d'acqua di alcuni scoli consorziali.
E comprensibile quindi come le materie che le piene e le morbide depositavano nei canale di Battaglia e Monselice, venivano all'apertura dell'Arco di Mezzo trascinate subito sottocorrente al sostegno, e come tali, i depositi con le successive aperture delle bocche di scarico degli opifici, si diffondevano su una tratta di notevole lunghezza così da produrvi degli interrimenti dannosissimi alla navigazione.
Da ciò derivava la necessità di ricorrere sovente a sistematiche pulizie dell'alveo del canale Sottobattaglia per consentire la navigazione, specie nei periodi di magra.
Le frequenti manovre necessarie per la regolazione delle paratoie centrali del sostegno Arco di Mezzo fecero ben presto sorgere la necessità di migliorarne il sistema di sollevamento. Si pensò quindi di applicare (1913) un comando
elettrico ai meccanismi di sollevamento. Per la loro manovra, le paratoie erano già provviste di una vite rettangolare, alla quale veniva trasmesso il movimento di traslazione verticale a mezzo della rotazione di una madrevite ricavata nel mozzo di una ruota conica.


Questa ingranava un rocchetto, pure conico, solidale con la ruota di un imboccamento cilindrico, il cui rocchetto era azionato a mano col sussidio di un volante calettato sull'asse di esso. Un tale meccanismo, a causa degli attriti che durante la manovra stessa si sviluppavano tra i numerosi elementi che lo componevano, del peso della paratoia e dell'attrito prodotto sui gargami dalla spinta dell'acqua contro la paratoia (determinata da un battente medio di mt. 4,40), richiedeva per il suo funzionamento, specie all'inizio del sollevamento, lo sforzo di almeno due uomini robusti.
Si aggiunge ancora che la manovra delle paratoie doveva eseguirsi parecchie volte in uno stesso giorno e tutti i giorni, al fine di mantenere regolato il pelo d'acqua dei canali Battaglia e Monselice in maniera che non venisse arrecato pregiudizio alla navigazione che lungo quei canali si svolgeva attivamente, ed ai numerosi opifici, per il funzionamento dei quali una parte delle acque stesse era derivata.
In occasione dei butà poi, e cioè il giovedì e la domenica, sia di notte, come di giorno, la manovra doveva compiersi di continuo con una speciale oculatezza poiché l'altezza del pelo d'acqua era tale (mt. 3.35 sopra lo zero dell'idrometro di Battaglia) che un aumento di soli quindici centimetri avrebbe determinato la tracimazione delle acque e conseguentemente l'allagamento di buona parte del paese di Battaglia. In considerazione quindi dell'importanza notevole del sostegno e per assicurare un migliore, rapido e pronto funzionamento dei meccanismi, nonché una discreta autonomia della spesa non lieve che l'Amministrazione idraulica avrebbe dovuto continuare a sostenere se si fosse mantenuto inalterato il sistema di manovra, per il quale non era sufficiente - nonostante la sua capacità e robustezza - l'opera del guardiano manovratore, l'Ufficio del Corpo Reale del Genio Civile predispose, come già detto, una perizia che contemplava l'applicazione ai meccanismi stessi di un comando elettrico , funzionante con la rete di distribuzione elettrica della Società Adriatica. L'importo della perizia ammontava a lire 3200 complessive ed i congegni erano studiati in modo da lasciare inalterato il comando a mano, così da operare con questo nel caso di eventuali guasti al motore o di interruzioni della corrente elettrica .

 


A causa dei guasti riportati alle opere di difesa idraulica del canale Battaglia in seguito alle azioni belliche della seconda guerra mondiale, per evitare allagamenti o interruzioni della strada statale Adriatica, non fu possibile effettuare nell'agosto del 1945 i butà lungo il canale Battaglia fino al livello normale atto a consentire la normale navigazione fluviale.
Tuttavia tale navigazione, che rivestiva enorme importanza di ordine economico, veniva ripristinata con alcuni provvedimenti d'urgenza ed in forma ridotta (cioè con barche a mezzo carico). All'imbocco della conca di Battaglia venivano così rimossi gli interrimenti prodottisi.
Ciò si rese possibile mediante gli scavi che misero all'asciutto il canale Battaglia per il tempo strettamente indispensabile ad eseguire il lavoro.
Essendo inoltre stato semidistrutto, pure da azioni belliche, il sostegno Arco di Mezzo, si approfittò della messa in asciutto del canale per effettuare lo sgombero delle macerie in alveo e riattare parzialmente le opere murarie subacquee ed in elevazione, così da impedire i copiosi passaggi d'acqua attraverso le murature lesionate ed in parte distrutte. Fu in tal modo possibile rialza-re il pelo dell'acqua, ripristinando l'effettuazione dei butà.
Inoltre, in considerazione del fatto che i muraglioni di sostegno entro l'abitato di Battaglia, in seguito ai danneggiamenti bellici ed alle riparazioni male eseguite dai Tedeschi durante l'occupazione, lasciavano trapelare durante le morbide del canale copiose filtrazioni che allagavano la fiancheggiante strada statale Adriatica, furono compresi nella perizia anche lavori di muratura in calcestruzzo a ridosso delle fondazioni del muraglione in sinistra del canale, in prossimità del ponticello pedonale distrutto.
Nell'agosto del 1945, sempre l'Ufficio del Genio Civile provvide, con il rito della somma urgenza, alla applicazione
degli organi di manovra alle tre paratoie centrali del sostegno Arco di Mezzo, anch'esse danneggiate dai bombardamenti aerei. La relativa perizia comprendeva le opere metalliche necessarie per la rimessa in efficienza delle paratoie e dei relativi organi di manovra manuali ed elettrici .
l lavori furono realizzati dall'officina Galileo di Battaglia 2. Agli interventi immediati sopra descritti, finalizzati al pronto ripristino della navigazione fluviale, fecero seguito radicali opere di completamento per la riparazione di tutte le parti murarie dell'importante nodo fluviale di Battaglia, senza che peraltro venisse ostacolato, durante la loro attuazione, il normale esercizio della navigazione.
l lavori, iniziati nel dicembre del 1947, ebbero termine nell'agosto dello stesso anno: l'Arco di Mezzo riacquistò cosi, nella forma e nelle dimensioni, il suo precedente aspetto.
Ai nostri giorni, il manufatto idraulico, oggetto negli ultimi anni di alcuni lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione nonché di adeguamento alle attuali esigenze del servizio, assolve alla importante funzione di garantire un determinato livello idrometrico delle acque nel canale Monselice-Battaglia, consentendo l'esercizio delle derivazioni oggi esistenti lungo tale canale.
Esso riveste inoltre la fondamentale e prioritaria funzione di regolare, attraverso le paratoie della luce centrale, i livelli dell'acqua nei canali superiori e in quello inferiore, sia in condizioni normali che durante le piene, in occasione delle quali è indispensabile una costante sorveglianza per effettuare in ogni momento, con tempestività ed oculatezza, le manovre necessarie agli apparati tecnologici che vanno sempre tenuti in perfetta efficienza.
Per comprendere la delicatezza del problema e le difficoltà che comportano le manovre richieste dal servizio idraulico, è indispensabile far riferimento al regime idrologico e alle piene del fiume Bacchiglione.
Detto fiume ha un regime idrologico disordinato e sfavorevole ad ogni proficua utilizzazione dei deflussi fluviali. La collocazione del sostegno dell'Arco di Mezzo nell'ambito della problematica suesposta riveste oggi, attraverso la regolazione della sua luce centrale, una posizione di singolare preminenza.
Esso consta attualmente di tre luci, munite ciascuna di tre paratoie come nel passato, con la differenza che oggi le paratoie delle prime due luci sono metalliche e manovrabili anche elettrica-mente (quella della luce verso Padova e quella della luce centrale); le paratoie della terza luce (lato Monselice) sono in legno ed attualmente inutilizzate.
Recentemente, dopo quasi 50 anni di inattività, è stata attivata per produzione di energia idroelettrica la derivazione che attinge dalla prima luce del sostegno, opportunamente riadattata; ne è fautrice la Società Molini Casarotto di Vicenza, che ha ripreso così una utilizzazione che si perde nei secoli.
Il servizio idraulico, che si concretizza, come nel passato, attraverso la manovra delle paratoie della luce centrale, ha richiesto, in considerazione delle delicate funzioni cui assolve tuttora il manufatto per la regolazione delle acque, l'approntamento di un impianto di automatizzazione . delle manovre!! pur nella consapevolezza che durante le emergenze ed in occasione degli eventi singolari è assolutamente indispensabile la presenza fisica del manovratore. Il problema della regolazione dei de-flussi delle portate fluenti attraverso l'Arco di Mezzo, condizionate alla com-plicatissima rete di canali e fiumi che caratterizza il circondario idraulico della provincia Padovana e dal particolare regime idrologico del fiume Bacchiglione e dei suoi canali derivati, si presenta sempre difficoltoso nei periodi di piena e di magra eccezionali.
In particolare, durante le piene, nel territorio del Comune di Battaglia è necessario impedire costantemente livelli eccessivi nel canale Battaglia-Monselice, ma bisogna anche avere cura di non far crescere oltre certi limiti il livello delle acque nel canale Sottobattaglia per non correre il rischio di allagare le zone golenali della Pescheria e dell'Ortazzo, ubicate nel centro storico di Battaglia.
Nel caso in cui si dovesse verificare poi la concomitanza degli eventi sfavorevoli già descritti, aggravati sovente dagli elevati livelli della marea che ostacolano il normale deflusso delle portate verso il mare, l'allagamento delle zone predette diventerebbe inevitabile.
Per scongiurare questo effettivo pericolo sono in corso, ad opera del Magistrato alle Acque - Ufficio di Padova -, i lavori di completamento delle difese spondali dei canali Sottobattaglia e Rialto.
Potrà così essere garantita la tutela delle aree urbane golenali sopra citate, anche in occasione di eventi del tutto eccezionali.
Durante gli stati di magra per contro, risulta assai problematico offrire attraverso la manovra dell'Arco di Mezzo i massimi contributi di portata, senza depauperare eccessivamente le portate dei canali superiori. L'apertura dell'Ar-co di Mezzo creerebbe non pochi problemi alle industrie che dai canali superiori derivano l'acqua. Questo problema potrà essere meglio affrontato con la collaborazione dei Consorzi di Bonifica i quali, nei periodi di magra, dovrebbero limitare le derivazioni.
Un consistente aiuto in proposito potrà venire da una promessa fornitura d'acqua al canale di Monselice da parte del Consorzio Lessinio Euganeo Berico.
Nell'ambito delle attuali funzioni svolte dall'Arco di Mezzo, unica grande assente, è quella legata alla navigazione che si dovrebbe esplicare lungo la linea Battaglia-Cagnola-Pontelongo fino al mare, attraverso la conca di Battaglia, attualmente inagibile.
L'esercizio della navigazione, che in un passato non molto lontano era di interesse primario, potrà nuovamente essere ripreso, anche se limitatamente alle utilizzazioni che trovano una giustificazione nell'odierno contesto socio-economico, allorché verranno attuate dal competente Ufficio del Genio Civile Regionale la ricalibratura delle sezioni dei canali Battaglia, Sottobattaglia, Cagnola e la riattivazione tanto attesa dell'importante conca.
L'Arco di Mezzo potrà così ritornare ad avere un ruolo significativo anche nello svolgimento di una corretta navigazione fluviale.

 

I PONTI-CANALE DI PIGOZZO E DI RIVELLA

Le acque superficiali della zona delimitata dai Colli Euganei, dal fiume Bacchiglione e dal canale Padova-Monselice confluiscono a Pigozzo, poco a nord del centro di Battaglia, e qui sottopassano il canale navigabile per immergersi nel Vighenzone, quindi nei canali Cagnola e Pontelongo fino al mare.
Si tratta di un bacino imbrifero di Ha 11.650 avente precisi e ben delimitati confini idraulici, le cui acque sono tutte convogliate alla botte di Pigozzo attraverso un unico collettore chiamato canale Rialto (Rivo Alto). Questo nasce in località Frassenelle e riceve le acque di numerosi scoli degli Abbani e Sampieri (Abano e S.Pietro Montagnon ) . Mediante una fitta rete di scoli consorziali al Rialto in magra arriva un flusso d'acqua di 1-2 mc/sec., piuttosto

Territorio a ovest del canale, tra Mezzavia e Battaglia, 1754. Disegno di Giambattista Savio. delimita l'originario comprensorio del consorzio di Mezzavia, istituito nel 1628, e i successivi ampliamenti. venne redatto per la determinazione dei contributi necessari alla ripartizione della rotta del Pigozzo.

 

calda e ricca di impurità e fango in sospensione provenienti dagli stabilimenti termali. In fase di piena riceve una portata massima di circa 90 mc/sec. che provoca spesso esondazioni. "Per scaricare le suddette valli", scriveva G.B. Savio nel 1752, "a forza di scalpello fu forato questo masso [trachite del monte Cataio] e la parte inferiore e bassa a modo di volto,,. lì ponte-canale consiste, infatti, in un traforo, praticato nella viva roccia, lungo circa 66 m, largo 5,50 e alto poco più di tre metri, non esattamente perpendicolare al canale Battaglia . La scelta di forare la pietra, piuttosto che costruire un manufatto in mattoni, come nel caso di Rivella, non è del tutta chiara: è probabile tuttavia che la formazione di un foro nel sasso trachitico offrisse maggiore garanzia di durata e solidità.


I massi affioranti (una sorta di apofisi) nell'area proprio sopra la botte, vale a dire tra la chiesetta di Pigozzo e la casa adiacente, fa supporre che anche per la costruzione del canale Battaglia si sia dovuto scavare nella roccia.
Nonostante questa caratteristica che rende la botte quanto mai singolare e solida, non mancarono occasioni di pericolo dovute ad ostruzioni del cunicolo e, soprattutto, a fessurazioni che facevano cadere l'acqua nel sottostante scolo Rialto.

 


E ricordato, per esempio, un intervento nel 1871 volto a riparare tali fenditure che lasciavano cadere acqua con conseguente difficoltà di navigazione nel canale Battaglia, specie nei periodi di magra. L'allargamento sulla parete superiore del cunicolo, nel tratto sottostante la strada statale, induce a pensare che si siano verificati dei crolli, con pericolo d'ostruzione dello scarico . Nel 1880 la botte venne sistemata in modo da conferirle l'aspetto che oggi conserva. L'imbocco e lo sbocco vennero rivestiti di mattoni con formazione di una volta a sesto ribassato. La sistemazione non risolse il problema degli allagamenti che spesso affliggono l'intero bacino, in particolare Abano e la zona attorno alla strada Montanara (via Dei Colli).
La pressione dell'acqua ha procurato, proprio in prossimità della botte, numerose rotte dell'argine destro (chiamato Arzeron Carrarese) dello scolo Rialto in piena e danneggiamenti al ponte del Cataio . A poco sono serviti i lavori di riordino della fognature di Abano e Montegrotto recentemente eseguiti:
sussiste una carenza di manutenzioni ed espurghi del Rialto a monte, soprattutto a valle del Pigozzo, e degli altri scoli minori. Tali lavori sono estrema-mente importanti per la quantità di fango che le acque provenienti dagli stabilimenti termali depositano.

Nel 1987 si sono iniziati i lavori di raddoppio della botte con la costruzione di un nuovo ponte-canale che dovrebbe affiancare il sottopasso esistente: il risultato sarà probabilmente deludente, se non si provvederà a tenere puliti gli alvei dell'intera rete scolante e dei canali di recapito.
Della botte di Rivella si sa che è stata costruita subito dopo la costituzione del Retratto di Monselice (1557) . Gli Ordeni del 6 agosto 1557 si preoccupava-no infatti dei possibili danni al ponte-canale dato che "li muri, e le calcine fresche,, non potevano garantire una sufficiente stabilità al manufatto in vista delle probabili piene autunnali. Contemporaneamente alla costruzione di questa ardita opera, furono scavati gli scoli che dovevano far confluire tutta l'acqua su un unico canaletto chiamato Fosson o anche Paltana, sottopassante lo stesso naviglio. Il bacino (10.000 campi circa) è delimitato a ovest dai colli, a sud da Baone, a nord da Battaglia e ad est dal naviglio. Nonostante le ingegnose ma poco efficaci macchine per il sollevamento dell'acqua a mezzo di coclee (Chiocciole di Archimede), di timpani e di catene a secchi che la tecnologia offriva, il prosciugamento dell'intero invaso aweniva in quei tempi per caduta naturale. In caso di piena dei canali inferiori l'acqua non poteva defluire, anzi rigurgita-va, aggravando l'allagamento delle campagne. La botte fu allora dotata di porte a vento che consentivano un deflusso intermittente e, come sostegno, una migliore navigabilità dei canali di bonifica .
Anche in questo caso per rastrellare i fondi necessari alla costruzione del manufatto, vennero istituiti appositi contributi (CAMPATICI) sui redditi derivanti dal possesso dei terreni favoriti dalle opere di bonifica, e un pedaggio (PALLADA) da far pagare ai barcaioli che transitavano a Rivella lì senato veneziano nel 1558 decise di dare in affitto la paflada pontis canalis oltre la Battaglia (Rivella) alla fraglia dei barcaioli di San Zuanne (S.Giovanni delle Navi di Padova) e "ciò per anno venturo principerà quando sarà aperto il detto canale". Qualche anno più tardi (1580) Michele de Montaigne descrisse dettagliatamente, anche se un po' confusamente, Rivella e il ponte-canale . ll francese parlò di un ponte "assai elevato" che congiungeva le due rive del canale Battaglia e di un ponte di pietra (ponte-canale) su cui scorreva il canale stesso, mentre sotto passava il "torrente" (canale di bonifica), La struttura era quindi articolata su tre livelli: quello più basso dello scolo del Retratto, quello del canale navigabile e quello del ponte stradale che era posto sopra la botte (attualmente il ponte stradale è collocato più a sud). Una lettera del 14 giugno 1634 del senato veneziano, riportata da Giovanni Poleni, conferma il sito del vecchio ponte stradale: "L'anno 1633, alli primi d'ottobre rovinò il ponte che era sopra il canale che viene da Este alla Battaglia e con la sua caduta fece cadere il ponte canale che vi era sotto..". Dalla Ducale datata 13 ottobre si evince che il ponte canale non rovinò completamente. In essa, infatti, si legge:
"..et sia rifabbricato esso Ponte, et accomodato il Ponte Canale... lì Poleni inoltre ci informa che "in cambio" del vecchio ponte sopra la botte fu fatto "il Ponte di legno, che ora è appresso li molini della Rivella.
Sulla lapide collocata su una parete del muro che delimita il canale Monselice sopra il ponte canale si legge:
COLLAPSUM AQUIS HYSPIDAE ADVER(SANTIBUS) HIERONYMUS CIVRANUS PATAVII PRAEFE(CTUS) QUOD OMNES OPTABANT SPERABAT NEMO A FUNDAMENTIS CELERRIME RESTITUIT ANNO MDCXXXW DIE XX MENSIS IANVARII ITERUM COLLAPSUM RESTITUTUM FUIT ANNO MDCCLII*
(Geronimo Civrano, prefetto di Padova, il 20 gennaio 1634 fece ricostruire molto celermente dalle fondamenta, cosa che tutti desideravano e nessuno sperava, il manufatto caduto in rovina a causa della violenza delle acque del Lispida * Crollato una seconda volta, fu restaurato nell'anno 1752) .
Molto importante era il collegamento con la cava del monte Lispida che forniva preziosa Trachite per la difesa dei pubblici lidi (litorali marini). Il 12 ottobre 1564 il Collegio alle Acque obbligò i presidenti del "Ritratto di Monselice di contribuire il denaro sufficiente al cavamento dell'alveo da condurre li sassi di Lispida".
La pietra veniva caricata ai piedi del monte su burchielle e trasportata oltre il ponte canale di Rivella in uno speciale porto delle pietre; qui, attraverso il cargador sull 'arzere veniva trasferita su imbarcazioni più grosse (0urci o padovane) che percorrevano i canali Vigenzone, Cagnola e Pontelongo sino a Venezia. Una parte del materiale veniva trasferita su barche dirette a Padova, attraverso il canale Battaglia.
Nel 1729 le porte del ponte canale, allora in legno, vennero sostituite e perfezionate nei movimenti. In occasione della grande piena del 1905, furono rotte dagli abitanti del luogo e sostituite successivamente con porte metalliche, non più a battente, dalla locale fabbrica di carpenteria Rinaldi, chiamata poi Galileo. Per la limitatezza della cadente, lo scolo era però sempre intermittente cioè poteva effettuarsi solo quando il livello del canale di recapito (Vigenzone) era più basso della fossa Paltana.
Soltanto nel 1920, con l'installazione delle pompe idrovore ad Acquanera, quasi nel punto di confluenza del Bagnarolo col Vigenzone, fu garantito lo smaltimento dell'acqua anche in caso di piena.

 

LA CONCA DI BATTAGLIA

Le conche di navigazione costituiscono degli importanti manufatti idraulici che servono per il passaggio dei natanti tra due tronchi idroviari, aventi quote idrometriche differenti. Sono di solito formate da un bacino o cratere, da cui deriva il nome, con il fondo di quota uguale a quella del canale a valle, capace di contenere uno o più battelli, e chiuso da due ordini di porte. Aprendo e chiudendo queste ultime, si può fare in modo che il livello all'interno dell'invaso sia uguale a quello dell'uno o dell'altro tronco del canale. Il natante, all'interno della conca, si alza, se procede contro corrente, si abbassa se procede a seconda cioè verso valle.
Le conche sono costruite per tenere sufficientemente alto il livello dei navigli e perciò per garantire un minimo di colmo (tirante d'acqua), specie nei periodi di magra, e nello stesso tempo ridurre la velocità di scorrimento dell'acqua.
Prima di prendere in esame specificatamente la conca di Battaglia, è forse opportuno fare qualche breve cenno alle progressive evoluzioni che hanno portato alla moderna concezione di questo manufatto idraulico, senza alcuna pretesa, con questo, di esaurire l'argomento che meriterebbe un maggiore approfondimento.


Sino al perfezionamento della conca vera e propria, nel Veneto, in presenza di lievi salti d'acqua, si provvedeva ad assicurare la continuità della navigazione con la costruzione dei cosiddetti carri o liste o traghetti. Erano apparecchi che facevano scorrere i piccoli natanti su un piano inclinato; particolari argani li sollevavano per farli scendere lungo un secondo piano inclinato dall'altra parte. Tali costruzioni, che di norma erano in legno, vennero adottate là dove il bisogno lo richiedeva: nel 1150 alla Torre del Porto a S. Ilario, nel 1343 alla bocca del Visigone, nel 1452 alla bocca di Corbola, nel 1462 a Marghera, ossia ai margini della laguna . La più importante era quella di Fusina, che cominciò a funzionare nel 1438 e cessò solo allorquando venne costruito il sostegno a conca dei Moranzani(1612) . In altri casi il salto d'acqua veniva superato attraverso i manufatti dei mulini natanti che lasciavano dei varchi denominati bove. Qui le barche dovevano superare una sorta di rapida, con dislivelli di circa un metro e con manovre spesso pericolose. Le bove nel Bacchiglione vennero sostituite con conche di navigazione a Debba (1683) ed a Colzè (1870), in prossimità di Vicenza.
La rimozione degli ultimi cani venne ordinata nel 1561, quando si stabilì di sostituirli con le conche di navigazione vere e proprie. È da ritenere che verso la fine del Quattrocento la navigazione
lungo il Brenta fosse possibile ancora senza il sussidio delle conche, forse già ideate ma non ancora note a Venezia, se soltanto nel 1501 veniva deliberata la costruzione di due ditali ingegnosi manufatti: l'uno a Dolo, l'altro a Fusina. A Stra, all'incontro del canale Piovego (1209) col fiume Brenta, non vi era un carro per il passaggio delle barche bensì un sostegno speciale, chiamato ingegno ideato e costruito nel 1481 dai fratelli Dionisio e Pier Domenico Ceccare Ilo di Viterbo, che ottennero dalla Serenissima Repubblica, per qualche tempo, la concessione d'esercizio dell'impianto da loro stessi perfezionato. Che si trattasse di una conca a bacino, prototipo delle moderne conche di navigazione, non si può dire con sicurezza. I barcari prima dell'invenzione dei fratelli Ceccarello, per passare attraverso la chiusa, erano obbligati a scaricare ogni cosa per essere in grado di tirare (sollevare) con un argano la barca, col rischio che la stessa affondasse .

La prima vera conca, secondo taluni autori, fu invece costruita a Milano in via Arena, ai tempi di Filippo Maria Visconti (1438-39), per merito degli ingegneri ducali Filippo da Modena, soprannominato degli Organi, e Fioravante da Bologna e fu chiamata conca di Nostra Signora del Duomo: collegava il Naviglio Grande (1176) con la fossa interna di difesa che circondava l'antica Milano .
Successivamente la costruzione di questi edifici fu via via perfezionata e diffusa in tutta l'Italia settentrionale, anche se in taluni casi si continuava a perfezionare i cani piuttosto che realizzare questa innovativa costruzione. Nel suo libro De re aedificatona Leon Battista Alberti (1404-1472) ci descrive un manufatto munito di due porte separate da una distanza uguale o superiore a quella della lunghezza di un battello: forse si trattava delle conche costruite dall'ingegnere Bertola da Novate, progettista di numerose opere idrauliche del Milanese. Pochi sono i particolari conosciuti a proposito di questi primi esempi di conche italiane, e la sola illustrazione contemporanea scoperta sinora è uno schizzo nel Codice Laurenziano che ri-sale agli anni 1460/1490.
I primi prototipi probabilmente erano dotati di una sola porta a saracinesca non molto adatta al transito delle imbarcazioni; nell'ultima decade del XV secolo, grazie alla invenzione delle porte a due battenti ad angolo, che si aprivano e chiudevano con la pressione dell'acqua (porte vinciane), il funzionamento delle conche divenne più sicuro e veloce. Questa scoperta, che diede alle conche di navigazione un aspetto del tutto simile a quello odierno, venne attribuita da diversi studiosi a Leonardo da Vinci. Invece per l'abate Paolo Frisi, professore di matematica a Milano e profondo conoscitore di idraulica, i sostegni con porte ad angolo furono messi in opera la prima volta vicino a Padova (Stra), nel 1481, dagli ingegnen Dionisio e Pier Domenico da Viterbo. "Leonardo da Vinci approfittò subito di questa grande invenzione nell'unione dei due canali di Milano , nell'anno 1497, sotto Lodovico il Moro, rese libera e facile la navigazione dall'uno all'altro" .
Ma tralasciando il difficile problema della paternità dell'invenzione delle conche e delle porte vinciane, possiamo senz'altro affermare che nel Veneto, ed in particolare nel Padovano e nel Veneziano, per agevolare l'intenso traffico fluviale, questi manufatti ebbero larga diffusione.
Tanto per citare un esempio riguardante la città di Padova, il 31.1.1523 il Senato veneziano dette facoltà a Jacopo Dondi dall'Orologio di sostituire le bove dei Contarini con una conca, oggi chiamata Porte Contarine, che dette "tragitto alla navigazione" e nello stesso tempo tenne "ferma e incassata l'acqua nel fiume per facilitare, e render continuo, e libero il corso delle Barche senza più verun incomodo dei molini". Costruita per un dislivello di 3 metri, fu restaurata, a metà Ottocento, sotto la direzione di Alberto Cavalletto. Dapprima con l'allargamento del canale Scaricatore, poi con la chiusura del Naviglio Interno (ora Riviere Tito Livio e Ponti Romani), avvenuta nel 1958-59, questa conca è stata completamente abbandonata tant'è che da alcune parti la si voleva trasformare in un parcheggio . Nonostante le trasformazioni urbanistiche dell'area circostante, che l'hanno assediata, costituisce oggi un raro e prezioso cimelio rimasto a testimoniare il profondo legame dell'idraulica con la città di Padova.
Altre conche vennero costruite sul Brenta a Dolo, Mira, e più recentemente (1920) sul Piovego a Noventa. L'ultima del sistema idraulico padovano èquella di Voltabarozzo, sul canale S.Gregorio, messa in funzione subito dopo la seconda guerra mondiale. La realizzazione del progetto di "Sistemazione dei corsi d'acqua attigui alla città di Padova" ha comportato l'allargamento del canale Scaricatore per renderlo navigabile e la costruzione di un collegamento tra lo Scaricatore e il Piovego chiamato canale S.Gregorio. Su quest'ultimo tratto è stata costruita la conca che oggi è attraversata dal Burchiello e dalle imbarcazioni che da Padova sono dirette a Venezia e viceversa, attraverso la Riviera del Brenta.
Veniamo ora alla conca di Battaglia. Allo scopo di unire per vie d'acqua i centri commerciali di Este, Monselice, Vicenza e Padova con il porto di Chioggia e con la grande linea di navigazione padana, venne prospettata l'idea di stabilire una diretta comunicazione tra il canale di Battaglia e il canale Sottobattaglia (Vigenzone). Ciò poteva consentire un notevolissimo risparmio per il trasporto di vari materiali e soprattutto del sasso trachitico che, estratto dai Colli Euganei e utilizzato in gran quantità per le difese di sponda dei fiumi Po e Adige, doveva essere trasportato per via ordinaria dai principali centri di produzione di Monselice e Mezzavia sulla banchina di approdo del canale Sottobattaglia per essere successivamente caricato sulle barche. Della grande utilità di una comunicazione diretta tra i canali Monselice e Battaglia e Sottobattaglia, fu coinvolta anche la Commissione Ministeriale nominata nel 1902 per lo studio della navigazione interna, la quale propose la costruzione presso Battaglia di tre conche successive allo scopo di superare il dislivello fra i due canali (7,40 mt).
Nel 1917 il Magistrato alle Acque conferisce al Genio Civile di Padova l'incarico di redigere il progetto esecutivo di apertura della nuova comunicazione, e detto Ufficio, valendosi dei progressi conseguiti dalla tecnica relativa ai sostegni di navigazione, specialmente all'estero (dove con una sola conca erano superati dislivelli persino di 14 m), progettò un'unica conca, collocata fra il canale Battaglia e l'ultimo tratto dello scolo Rialto convenientemente sistemato fino alla sua confluenza col canale Sottobattaglia.
Per motivi dipendenti dallo stato di guerra i lavori non poterono iniziare che il primo settembre 1919, e durante il loro corso si dovettero superare difficoltà dovute alla cattiva qualità del sottosuolo, alle frequenti piene (ad esempio nel 1921), nonché al periodo critico del dopoguerra, durante il quale si verificarono gravi agitazioni operaie.


Le opere vennero affidate per la conca in calcestruzzo armato e per il ponte delle Chiodare, alla Società Anortima Ferrobeton di Roma, per le parti metalliche alla Società Officine di Battaglia e per i lavori dello scavo al Consorzio Cooperativo Regionale Veneto di Legnago. La direzione dei lavori fu affidata all'ingegnere capo del Genio Civile di Padova d'Arcais e all'ing. Lunghini. L'importo dei lavori appaltati fu di circa L.3.300.000. La conca venne solennemente inaugurata il 1 giugno 1923 dall'allora neopresidente del Consiglio dei Ministri Benito Mussolini, arrivato con altre autorità in Bucintoro da Bassanello e accompagnato da numerose imbarcazioni della Canottieri e della Rari Nantes Patavium.


L'originalità del funzionamento, che si basa sull'utilizzo della sola pressione dell'acqua senza apporto di energia esterna (motori) e il cospicuo salto d'acqua che non trova riscontro in nessun'altra conca della Pianura Padana, costituiscono le più note peculiarità di questo manufatto. Grazie all'impiego di una sola conca al posto delle sette della Riviera del Brenta, il tempo necessario
per raggiungere Venezia con partenza da Battaglia con barche cariche, venne dimezzato.
Nonostante questi pregi, la conca di Battaglia è stata utilizzata per un periodo relativamente breve. L'impianto funzionò, infatti, sino alla prima metà degli anni Sessanta, quando il trasporto fluviale venne soppiantato da quello su gomma. Da allora, purtroppo, non è stato più messo in funzione, nemmeno per garantire il mantenimento dell'efficienza a servizio delle imbarcazioni da diporto. Di conseguenza attualmente si trova insabbiato ed arrugginito. Per rimetterlo in funzione, come la qualifica di canale navigabile di II classe richiederebbe, occorrerà sostenere una spesa rilevante. La rimessa in funzione della conca di Battaglia significherebbe non solo un atto doveroso nei confronti del monumento, vanto dell'ingegneria idraulica del primo Novecento, ma anche un importante incentivo verso l'utilizzazione turistico-sportiva dei nostri corsi d'acqua con la risaltazione dell'anello fluviale che collega Padova a Venezia, da una parte attraverso la nota Riviera del Brenta, dall'altra con la via brevis dei canali Vigenzone, Cagnola e Pontelongo .

 


Struttura e dimensioni della conca.

Tipo normale per natanti da 300 tonnellate. Lunghezza utile m. 40, larghezza m.7,20, tirante d'acqua m. 2,50, altezza dei muri di fiancata m. 10,40, dislivello massimo fra il pelo a monte e a valle m. 7,40
La struttura è interamente in calcestruzzo armato: la platea dello spessore di m. 1,20 poggia su circa 400 pali in calcestruzzo lunghi circa 20 m.
I muri di fiancata hanno la struttura di soletta verticale, rinforzata da costoloni. A scopo estetico e per facilitare possibili riparazioni, le pareti verso l'interno sono rivestite di laterizio. Inferiormente alla camera delle grandi porte, sopra il mandracchio a valle della conca, è stato costruito un ponte in calcestruzzo armato. Per evitare la costruzione di un ponte mobile, la strada statale, che prima attraversava il piccolo borgo chiamato Squero, fu in quel punto leggermente te allontanata dal canale Battaglia.
Completamento delle opere si costruì la casa per il manovratore con cabina per i meccanismi di funzionamento della conca e due bacini di sosta (mandracchi) posti superiormente ed inferiormente alla conca stessa. Sul canale Rialto, a valle della conca, fu edificato il nuovo ponte in calcestruzzo armato in sostituzione del vecchio in ferro, denominato Chiodare.
Le porte metalliche sono del tipo angolare con sospensioni superiori su cuscinetti a sfere, già usate nelle conche di Cavanella d'Adige, Brondolo e Noventa. Le porte a monte hanno un'altezza di m. 6,10 e pesa-no 4 t mentre quelle a valle, alte 10,60, pesano 30 t.
Dato il forte dislivello fra il canale superiore e quello inferiore, era necessario un sistema di alimentazione e di scarico della conca che, pur utilizzando l'intero dislivello per il rapido riempimento e svuotamento, da una parte rendesse minimi gli effetti della manovra degli apparecchi di chiusura degli acquedotti, dall'altra permettesse una tranquilla immissione delle acque nella conca durante le manovre. Al primo scopo corrispondono (e quindi si sono adottate) le valvole cilindriche, nelle quali la reazione verticale al sollevamento è rappresentata soltanto dal proprio peso, essendo equilibrate le pressioni orizzontali. Per evitare poi eccessivi movimenti vorticosi durante l'immissione d'acqua nella conca, avrebbero disturbato e danneggiato le barche in transito, venne ideato uno speciale dispositivo: l'acqua veniva immessa attraverso due condotti ricavati nei muri della testata superiore della conca, che sboccavano, mediante più luci, in una camera situata dietro il muro di caduta e per raggiungere il cratere della conca doveva ancora superare un diaframma trasversale e uscire da luci a larga sezione soggiacenti al livello minimo dell'acqua inferiore. In tal modo, mentre la portata d'immissione veniva di poco attenuata, si smorzavano invece completamente gli effetti della velocità dell'acqua, talché il riempimento della conca poteva avvenire in soli 10-12 minuti e l'ascesa dei natanti si verificava senza scossa alcuna e in modo perfettamente regolare.
La sopracitata camera dietro il muro di caduta restava in gran parte occupata da aria, la quale, non trovando via d'uscita, durante il riempimento acquistava una pressione che, a seconda degli stati idrometrici dei due canali, poteva raggiungere 45-60 atm. Tale aria compressa veniva utilizzata per effettuare le manovre occorrenti per l'esercizio della conca, e cioè l'apertura e chiusura delle valvole d'alimentazione e di scarico e dei due ordini di porte. Per quanto in altre conche all'estero siano stati applicati dei sistemi di manovra ad aria compressa, il sistema applicato alla conca di Battaglia era completamente nuovo, sia per il modo di generazione dell'aria compressa che per la sua utilizzazione.

 

 

 

 

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